Sinodo delle chiese valdesi e metodiste 1998
I. I Rapporti Con Le Altre Chiese Evangeliche
II. I Rapporti Con Le Chiese Ortodosse
III. I Rapporti Con La Chiesa Cattolica Romana
- Ciò Che Unisce Protestanti E Cattolici Romani
- Ciò Che Divide Protestanti E Cattolici Romani
IV. La Nostra Proposta Ecumenica
V. I Rapporti Con L’Ebraismo
VI. I Rapporti Con L’Islam
VII. I Rapporti Con Le Altre Religioni
VII. I RAPPORTI CON LE ALTRE RELIGIONI
60. Non si dovrebbe onorare soltanto la propria religione e
condannare le religioni degli altri, ma si dovrebbe onorare la
religione degli altri per questa o per quella ragione. Agendo
così si aiuta la propria religione a crescere e si rende
anche un servizio a quella degli altri. Agendo altrimenti, si scava
la tomba della propria religione e si fa anche del male alle
religioni degli altri. Chiunque onora la propria religione e
condanna le religioni altrui lo fa - beninteso - per devozione,
pensando: 'Darò gloria alla mia religione'. Al contrario,
agendo così, reca un grande danno alla propria religione.
Dunque la concordia è cosa buona: tutti ascoltino e
ascoltino di buon grado le dottrine delle altre religioni. Questo
insegnamento del Buddha7 che l’imperatore indiano Ashoka (III
secolo a.C.) fece incidere nella pietra, è un invito
all’ascolto reciproco. Lo accogliamo in questo documento proprio
per interrompere il nostro monologo, per non parlare solo noi, per
dare la parola ad altri e cominciare ad ascoltare. Questo ascolto
reciproco lo possiamo e dobbiamo collocare nel quadro di un altro
ascolto - quello di Dio stesso - di cui parla la Bibbia: Allora
quelli che temono l’Eterno si sono parlati l’uno all’altro, e
l’Eterno è stato attento ed ha ascoltato (Malachia 3,16). Il
discorso riguarda i figli d’Israele, ma lo si può facilmente
estendere a tutti i figli di quel Padre dal quale ogni famiglia in
cielo e sulla terra prende nome (Efesini 3,15).
61. Il problema del rapporto tra cristianesimo e altre religioni
è antichissimo: sorge con la nascita stessa della fede
biblica nel Dio d’Israele e l’accompagna lungo tutto il suo cammino
storico fino ai nostri giorni. Oggi si impone a noi con un’urgenza
particolare, soprattutto per due ragioni. La prima è che
l’Europa sta diventando sempre più pluralista anche sul
piano religioso, e il mondo, malgrado le divisioni, gli antagonismi
e i conflitti (spesso anche armati) che lo lacerano, è
sempre più percepito e vissuto come villaggio globale: tutti
ci sentiamo coinvolti e corresponsabili, e comunque partecipi,
della sua vita, in tutti i suoi aspetti, compreso quello religioso.
La seconda è che sta crescendo in varie religioni del mondo
la consapevolezza di dovere e potere sin d’ora contribuire insieme
- ognuna con la sua specificità - alla ricerca della
giustizia, alla costruzione della pace e alla salvaguardia del
creato, tanto più mentre insorgono, in vari contesti
religiosi, forme inquietanti di fondamentalismi e integrismi.
62. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, parla di fedi viventi
piuttosto che di religioni perché come tali esse vengono
vissute da coloro che le professano. L’espressione fedi viventi
mette bene in luce il dato fondamentale: si tratta di esperienze,
soggettive e collettive, vissute da credenti. d’altra parte, ogni
fede vivente si situa all’interno di un sistema religioso
particolare con le sue dottrine, i suoi riti, templi, codici etici,
per cui incontrare le fedi di altri credenti significa anche
entrare nell’universo religioso in cui esse si esprimono. In questo
senso parliamo di altre religioni.
63. Un tempo tutto ciò che era religioso ma non cristiano
veniva sommariamente qualificato come paganesimo. Oggi riteniamo
possibile, anzi doveroso, un discorso anche in positivo, che
s'interroghi sul significato e il valore delle vie percorse
dall’umanità in tema di religione.
d’altra parte non possiamo rinunciare, né nei confronti del
cristianesimo storico né nei confronti delle altre
religioni, alla critica teologica della religione e della
religiosità (vedi Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer), cui si
affianca quella elaborata nella modernità (dall’Illuminismo
a Sartre). Riconosciamo comunque che anche la critica della
religione non si sottrae alla parzialità dei soggetti che la
praticano e alla diversità dei punti di vista da cui essi
partono. Resta però fondamentale l’esigenza di discernere
nelle diverse religioni (compreso il cristianesimo) ciò che
può produrre o alimentare superstizione, fanatismo,
intolleranza, alienazione, idolatria.
64. La strada del dialogo con le altre religioni è molto
ampia. Nel percorrerla veniamo a trovarci in ambiti di incontro e
di confronto molto diversi, che esigono differenti modalità
di approccio e di approfondimento.
a) Nell’ambito delle cosiddette fedi abramitiche - Ebraismo,
Cristianesimo, Islam - la confessione di fede in un Dio unico, la
centralità di una rivelazione come atto libero di Dio
attestata in un Libro, possono costituire elementi di un confronto
ravvicinato.
b) Il cammino dell’incontro con le altre religioni entra anche
nell’ambito delle grandi correnti di spiritualità e di fede
dell’Oriente - le variegate famiglie del Buddismo, Induismo,
Confucianesimo e Taoismo - e delle tradizioni africane e
indio-americane, con la saldezza delle loro tradizioni storiche,
culturali e spirituali attestata da millenni.
Non possiamo non notare l’interesse profondo e crescente nel nostro
paese per le forme di fede e spiritualità orientale e nel
dialogo cerchiamo di cogliere l’esigenza cui queste fedi
rispondono.
c) Diverso è il caso dell’incontro con i nuovi e nuovissimi
movimenti religiosi di cui registriamo la presenza. Si tratta
spesso di fenomeni segnati da instabilità e
transitorietà, che si collocano entro un ventaglio molto
ampio di ricerca e di spiritualità, a volte mutuata dalle
religioni orientali, a volte segnata dall’utilizzo di elementi
teistici in contesto filosofico e psicologico.
La diversità degli ambienti e la varietà delle
espressioni di fede ci ricordano la complessità dell’animo
umano e la dimensione di mistero da cui siamo circondati.
65. Come impostare la riflessione sulle altre religioni o fedi
viventi dal punto di vista della fede cristiana che confessa
Gesù Cristo come il Salvatore del mondo (Giovanni 4,42) e
come rivelazione ultima e piena di Dio e dell’uomo (vero Dio e vero
uomo)? Senza pretendere di elaborare un’organica teologia cristiana
delle religioni, riteniamo possibile individuare alcune linee
guida.
a) Pur riconoscendo gli elementi di verità e di
santità presenti e operanti nelle altre religioni,
affermiamo che Gesù Cristo è il Rivelatore di Dio, la
Via, la Verità e la Vita per tutta l’umanità, il solo
Nome dato agli esseri umani per il quale possiamo essere salvati
(Atti 4,12). Questa prospettiva accetta la sfida dell’incontro e
del dialogo, ma non intende eludere lo scandalo e la pazzia
costituiti appunto dalla rivelazione di Dio in Cristo crocifisso e
risorto (1 Corinzi 1,23).
b) Esistono, tuttavia, aspetti della pienezza di Cristo sconosciuti
ai cristiani, non meno che agli altri: Conosciamo in parte (I
Corinzi 13,9), perché Gesù è più grande
della nostra intelligenza, anche di quella della fede, e viviamo
nell’attesa che lo Spirito ci guidi in tutta la verità
(Giovanni 16,13). Può accadere ed accade che proprio il
dialogo interreligioso sia uno strumento mediante il quale lo
Spirito accompagna la chiesa a scoprire dimensioni inedite della
gloria di Dio in Gesù. Dovunque agisce, lo Spirito glorifica
Gesù (Giovanni 16,14), ma lo fa spesso in modi inediti e
sorprendenti. Alla chiesa è dato il discernimento degli
spiriti per imparare a scorgere e riconoscere il frutto dello
Spirito (Galati 5,22) dovunque si manifesti.
66. La volontà della chiesa di comprendere le altre
religioni, di dialogare con esse, e di lasciarsi aiutare dal loro
messaggio ad approfondire la propria comprensione di Gesù,
va collocata nell’orizzonte dell’attesa del Cristo che deve venire
e del regno dei cieli che in lui si è avvicinato, verso il
quale tutti siamo in cammino.
Anche in questo contesto dobbiamo ricordare che non siamo ancora
giunti alla perfezione (Filippesi 3,12) e in questo senso tutto
è provvisorio e non è ancora reso manifesto quel che
saremo (1 Giovanni 3,2); c'è una nostra incompiutezza che
sarà tolta solo quando Dio sarà tutto in tutti; anche
come cristiani dobbiamo crescere in ogni cosa per giungere allo
stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo
(Efesini 4,15 e 13). Solo Gesù Cristo è già
definitivo, solo lui è l’ultimo oltre che il primo, l’omega
oltre che l’alfa, la fine oltre che il principio (Apocalisse
22,13). La pienezza è già in lui (Colossesi 1,19),
non ancora in noi. In noi ci sono soltanto le primizie dello
Spirito (Romani 8,23).
67. Nel dibattito ecumenico più recente s'incontrano anche
modi diversi d’impostare il dialogo interreligioso. Ne tratteggiamo
due, a titolo esemplificativo.
a) Alcuni considerano le altre religioni e gli universi religiosi
in cui esse si esprimono come parte della creazione di Dio, il
quale ha chiamato alla vita un’umanità unica ma
straordinariamente variegata, così da dar luogo anche a
sensibilità e culture religiose molto diverse. In questo
quadro le fedi viventi possono apparire come una parte del ricco
patrimonio spirituale dell’umanità. Ci si potrà
avvicinare ad esse mettendo in luce da un lato la comune
filialità di tutti rispetto a Dio, e dall’altro la
trascendenza e alterità di Dio rispetto a tutti i discorsi e
le immagini con cui l’umanità parla di lui.
In questo quadro il Cristo potrebbe non essere più l’unica
via ma una via a Dio. Di conseguenza, il terreno d’incontro e di
dialogo sarebbe costituito da Dio più che da Cristo e la
fede cristiana dovrebbe diventare teocentrica più che
cristocentrica.
b) un’altra lettura è quella della cosiddetta dottrina del
Cristo più grande (greater Christ). La Parola divina, il
Logos, seconda persona della Trinità, si è certamente
incarnata in Gesù di Nazaret, ma non esclusivamente in lui;
essa si sarebbe manifestata anche in altri grandi iniziati o uomini
di Dio (come Buddha, Muhammad e altri). Cristo sarebbe
perciò più grande di quello apparso in Gesù di
Nazaret, e lo si potrebbe scoprire incontrando le altre religioni.
Qui il terreno d’incontro e di dialogo sarebbe costituito dal Logos
divino manifestatosi in Gesù e seminato nei diversi ambiti
religiosi dell’umanità e da questi colto, percepito o
intuito.
Ci sembra tuttavia che queste impostazioni non possano essere
condivise in quanto comportano una relativizzazione del significato
che la Sacra Scrittura attribuisce a Gesù di Nazaret,
confessato nella fede come Cristo di Dio.
68. Il compito al quale come cristiani siamo chiamati è di
essere testimoni di Gesù Cristo fino alle estremità
della terra (Atti 1,8) confessando la nostra fede in lui (Romani
10,8-10) e cercando di camminare com'egli camminò (1
Giovanni 2,6). All’interno di questo compito si colloca anche il
dialogo interreligioso. Esso è anzitutto un luogo di ascolto
dell’altro che non conosciamo e che ha delle cose da dirci, una
fede, una morale, una visione del mondo e dell’uomo da comunicare;
poi è un luogo di scambio nel corso del quale vi sono molti
modi e occasioni di testimoniare Cristo. Il dialogo implica
reciprocità, dare e ricevere, sforzo congiunto per entrare
in una relazione profonda di comunicazione, pur attraverso
linguaggi diversi. Il dialogo non è dunque un esercizio
inconcludente che lascia il tempo che trova, né
un’implicita, segreta rinuncia all’evangelizzazione (come se il
dialogo sostituisse la testimonianza anziché essere un modo
di praticarla), e neppure il primo passo verso impostazioni
religiose sincretistiche. Al contrario viviamo il dialogo, al quale
siamo chiamati da Dio stesso come appuntamento con Dio e con il
prossimo, un modo cioè per cercare insieme, segretamente
accompagnati dal Risorto come lungo la via di Emmaus, come Dio
viene incontro agli altri e a noi, agli altri attraverso di noi e a
noi attraverso gli altri. Questo modo di impostare il rapporto tra
le fedi è relativamente nuovo in campo teologico. I rischi
che comporta sono legati alle sue potenzialità ancora
inesplorate.
69. Io non mi vergogno dell’Evangelo, perché esso è
potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; prima del Giudeo
e poi del Greco (Romani 1,16). Non mancano per i cristiani
impegnati nel dialogo e confronto con le altre religioni occasioni
e motivi di vergogna per azioni, parole e fatti di ieri e di oggi
commessi dalle chiese, di cui siamo direttamente o indirettamente
corresponsabili e che costituiscono una contro-testimonianza
all’Evangelo di cui vorremmo essere portatori. Ma questo doveroso e
salutare sentimento e atteggiamento autocritico non deve indurci a
confondere la vergogna di noi stessi con la vergogna dell’Evangelo,
paralizzando la volontà di testimonianza e rendendoci
incapaci di dire le parole della fede. Al contrario nutriamo
fiducia che, al momento opportuno, lo Spirito ce le darà,
secondo la promessa (Matteo 10,19-20). Aldilà di tutte le
nostre indegnità, l’Evangelo è e resta buona notizia
per ogni creatura, benedizione da trasmettere, dono da
condividere.
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