Santuari à répit - Le cappelle del ritorno alla vita
Il diritto canonico permette che il battesimo possa essere somministrato, in casi estremi, anche da un laico a cui
è consentito non utilizzare l’acqua benedetta. Ciò, nel corso dei secoli, ha reso estremamente raro il caso di
bimbi morti, dopo la nascita, privi di battesimo. Ove ciò accadeva, però la famiglia aveva a trarne pessimi
presagi. L’incapacità di quest’ultima di soddisfare una richiesta di salvezza del piccolo morto, infatti,
veniva ritenuta una colpa e per questo si pensava che lo spirito del defunto potesse diventare un elemento di
pericolo o di destabilizzazione per il nucleo familiare.
Contro questa eventualità c’era poco da fare; esistevano tuttavia nell’arco alpino particolari luoghi sacri
(santuari o cappellette, conosciute come "cappelle del ritorno alla vita") ove si pensava che, portando
il bambino e sottoponendolo a particolari pratiche religiose, questi potesse rivivere per pochi minuti in modo
da poterlo battezzare, per poi affidarlo, salvato, agli angeli del Paradiso.
Nelle valli del Piemonte questi santuari sono numerosi, particolarmente nell’area cuneese e nelle vicine
Alpi francesi, ove la religiosità della gente assumeva molto spesso caratteristiche al limite della superstizione.
Tra queste si possono sicuramente ricordare la cappella della Madonna della Neve, presso Ollasca in val Grana;
la Cappella di Sant’Orso di Piasco, in val Varaita;
la chiesa di Madonna della Pace (meglio conosciuta come "Madonna del Ponte") a Susa; il Santuario di San Maurizio di Acceglio,
in val Maira; la cappelletta di St. Ours, posta sul versante francese del Colle della Maddalena (o Col de Larche),
tra il valico stesso e l’abitato di Larche.
Cappella Madonna della neve, Ollasca
Chiesa Madonna del Ponte a Susa
Santuario di San Maurizio di Acceglio
Cappelletta di St. Ours
Molte di queste strutture non sono oggi più esistenti, ma nella memoria collettiva è rimasta traccia della loro
fama e soprattutto della loro funzione. Nell’area su cui sorgeva la cappella di S. Orso a Piasco, ad esempio,
sono stati recentemente rinvenuti alcuni resti umani attribuibili a fanciulli, il ché contribuirebbe
a rafforzare l’ipotesi qui sostenuta.
Il seppellimento delle piccole salme, condotte in queste chiesette per
poter essere battezzate, avveniva sempre nei dintorni della chiesa stessa, oppure attorno a piccoli oratori
o comunque luoghi di culto e questo per due ordini di motivi: il primo relativo al fatto che questa terra si
riteneva consacrata e ciò in qualche modo poteva servire ad attenuare la colpa, il secondo per
l’ovvia difficoltà di trasportare per ore ed ore di marcia, attraverso sentieri e mulattiere, un cadavere
senza essere scoperti. Questo in parte spiega anche perché nelle campagne della pianura, tale pratica non era
minimamente conosciuta. Lungo le strade della piana, infatti, molto più battute e frequentate, sarebbe
stato molto più difficile non farsi scoprire. Nei villaggi della pianura, dunque, si usava più semplicemente,
aspergere l’acqua battesimale ai bimbi defunti entro 24 ore dalla loro dipartita, perché ciò, si riteneva fosse
sufficiente a far sì che il sacramento avesse valore.
Quale atteggiamento manteneva la chiesa di fronte a queste pratiche? Difficile a dirsi, probabilmente erano
tollerate, anche se non incoraggiate. L’antropologo Sergio Ottonelli, a questo proposito, in una ricerca
intitolata: Dove c"è una culla (Ed. Valados Usitanos, Torino 1991) estrapola un brano dalla relazione di
una visita pastorale del Vescovo di Saluzzo Gianotti a Piasco nel 1840, in cui si fa esplicito riferimento al
fatto che nella citata cappella di S. Orso si era soliti portare bambini morti prima del battesimo, allo scopo di
farli rivivere per poterli battezzare. Ciò, secondo la convinzione popolare, sarebbe dovuto avvenire nel corso di
una messa, presumibilmente al momento dell’elevazione. Ovvio che per la celebrazione della messa notturna
fosse necessario l’intervento di un prete, il quale, secondo il Vescovo, veniva ricompensato, ma non era messo a
conoscenza del motivo per cui la funzione fosse stata celebrata. Evidentemente un modo per eludere il problema
che, par di capire, non era così marginale. La relazione si conclude poi con la constatazione del fatto che
dopo queste celebrazioni i bambini venivano sepolti sotto il portico della cappella, diventando quasi sempre
prede di cani randagi e di volpi che frequentavano la zona.
In francese, queste cappelle erano conosciute come Sanctuaires à repìt, ovvero santuari del respiro, poiché
l’eventuale soffio emesso dalle narici del neonato ritenuto redivivo, doveva costituire la prova del suo ritorno
in vita. Per verificare ciò veniva avvicinata alle labbra o alle narici del neonato una piccola piuma di
volatile, nella quale poi si cercava di intuire ogni impercettibile movimento.
Nel caso invece, assai raro, il battesimo fosse stato somministrato da un laico, ricorda lo stesso
Sergio Ottonelli nella ricerca poco sopra citata, che il parroco era tenuto a svolgere una vera e propria
inchiesta, onde accertare se potesse effettivamente essere ritenuto valido. Lo stesso autore tra l’altro,
a questo proposito riferisce che nell’area cuneese da lui presa in esame, esiste ancora memoria di battesimi
somministrati "in utero", ovvero prima che il bambino vedesse effettivamente la luce, con l’ausilio di
una siringa per poter aspergere l’acqua. Ciò accadeva quando le difficoltà del parto risultavano
evidenti. Supponendo che il bimbo, all’interno del ventre materno fosse ancora vivo, si procedeva allora
con questa operazione, affidandone l’incarico ad unl’anziana del paese o alla stessa levatrice.
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Testo e foto di Gian Vittorio Avondo. Pubblicato il 09.10.2019

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