Teresa Bracco
Giovanni Paolo II l’ha elevata alla gloria
degli altari il 24 maggio 1998, memoria di Maria Ausiliatrice, a
Torino, nel corso del suo pellegrinaggio alla Sacra Sindone.
Penultima di sette figli, Teresa Bracco
era nata il 24 febbraio 1924 nel piccolo paese di Santa Giulia,
comune di Dego e diocesi di Acqui Terme.
Teresa potè frequentare la scuola fino alla quarta
elementare, perché a S. Giulia non c’erano altre
possibilità; con il suo lavoro di pastorella cercava di
contribuire al sostentamento della numerosa famiglia.
Chi l’ha conosciuta afferma che Teresa era una ragazza
estremamente riservata, modesta, delicata nel rapporto con le
persone, sempre pronta ad offrire il suo aiuto. Dotata di non
comune bellezza, due grandi occhi scuri e vellutati che risaltavano
sul bel viso serio e pensoso incorniciato da grosse trecce brune,
Teresa però non è affatto incline alla vanità
femminile, neppure la più innocente, tipica
dell’età giovanile, e sa attirarsi l’ammirazione
rispettosa di tutti i suoi compaesani. Con la complicità di
papà Giacomo, sacrificava volentieri delle preziose ore di
sonno pur di potersi comunicare. La chiesa, infatti, non era tanto
vicina e la Messa si celebrava sempre all’alba.
In casa Bracco arrivava regolarmente il Bollettino salesiano: sulla
copertina della rivista, nel 1933, campeggiava in primo piano il
ritratto del piccolo Domenico Savio, di cui la Chiesa aveva appena
riconosciuto le virtù eroiche. Il ragazzo era figlio di
contadini, proprio come lei, e alla scuola di don Bosco era
arrivato all’impegnativo proposito: "La morte ma non
peccati". Teresa, che aveva solo nove anni, ne fu affascinata:
ritagliò l’illustrazione, la pose sulla testata del
letto ed il motto del giovanissimo Santo diventò il suo
programma di vita. Una decisione fermissima che la piccola Bracco
aveva voluto assumere solennemente il giorno della sua prima
Comunione: “La morte ma non peccati”,
sull’esempio di Domenico Savio. "Piuttosto, mi faccio
ammazzare". Proposito a cui si dimostrò fedele fino al
martirio. Il suo sacrificio, infatti, per mano di un ufficiale
tedesco, non fu che l’ultimo atto di una vita interamente
vissuta per il Vangelo.
La mattina del 28 agosto ’44, dopo aver partecipato alla S.
Messa, Teresa aveva trovato un carico di letame preparato dalla
sorella Maria da andare a spargere nel campo della Braia. Si era
incamminata perciò verso il lavoro che l’attendeva, ma
dopo un po’ l’aveva raggiunta la notizia
dell’arrivo delle truppe tedesche al suo paese, S. Giulia.
Pensando allora alla mamma rimasta sola sul posto (il papà
era venuto a mancare appena due mesi prima), aveva abbandonato i
suoi attrezzi di lavoro per correre verso casa.
Nel rastrellamento nazista donne e bambini avevano trovato rifugio
nella forra del Rocchezzo. Qui i tedeschi fanno purtroppo irruzione
sequestrando le donne più giovani, fra cui pure Teresa, come
bottino di guerra. Ma lei non ci sta, per amore degli insegnamenti
evangelici la ragazza rifiuta energicamente di sottostare alle
voglie dell’ufficiale nazista che l’ha presa con
sé e cerca di scappare attraverso il bosco; lui però
la raggiunge e, preso dal furore, la strangola, quindi le spara un
colpo di rivoltella al cuore e, poi, non pago di tanta ferocia, col
suo scarpone le sferra un calcio alla tempia sinistra fino a
sfondarle il cranio. Il suo corpo martoriato venne ritrovato
nell’atteggiamento della suprema difesa della sua
integrità fisica, due giorni dopo nel bosco. Qualcuno
scrollò il capo di fronte alla sua fine eroica. Una morte
inutile, si disse. Avrebbe potuto sopravvivere alla violenza, come
le altre due ragazze, e tornare sana e salva alla sua famiglia.
Perché opporsi così strenuamente al male? Ma soltanto
pochi mesi dopo la sua morte, si raccontava di qualcuno che aveva
ricevuto benefici dall’intercessione di Teresa. La fama del
suo martirio si spargeva così nelle parrocchie confinanti
mentre la vox populi l’acclamava come la nuova S. Maria
Goretti delle Langhe.
Autore: Maria Di Lorenzo
Tratto da: www.santiebeati.it
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