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I Valdesi - Note storiche

Pomaretto, il corteo per la festa del 17 febbraio
Era un anno attorno al 1170 quando un ricco mercante lionese di nome Valdo, dopo aver vissuto una profonda crisi spirituale, decise di rinunciare a tutti i suoi beni materiali e di vivere in povertà seguendo l’esempio degli apostoli.
Valdo, in certi casi conosciuto anche come Pietro Valdo e il cui nome originario era probabilmente Valdesio o Valdense, iniziò la predicazione popolare del Vangelo e fu lui a fondare e a dare il nome al movimento religioso oggi conosciuto come valdismo. I seguaci di Valdo vivevano in povertà come il loro maestro e per questo in un primo momento furono chiamati i "Poveri di Lione", i valdesi che in un secondo tempo si diffusero nella pianura Padana vennero appellati come i "Poveri di Lombardia".
I principi semplici che i valdesi diffondevano invitavano a ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Questo nuovo credo rivoluzionario che si ispirava all’integrità morale dei primi cristiani contrastava con gli stili di vita degli ecclesiastici dell’epoca e ben presto Valdo e i suoi seguaci vennero convocati dall’arcivescovo di Lione e diffidati a diffondere eresie tra la gente. Per i valdesi arrivò anche la scomunica ed ebbe inizio una persecuzione che si protrasse per secoli: furono costretti all’esilio e abbandonarono le loro terre di origine cercando rifugio in diverse zone d’Europa.
Verso il 1210 un gruppo di valdesi giunse nelle valli del Piemonte ma la repressione nei loro confronti si fece più dura con il Concilio Lateranense del 1215 e furono costretti ad isolarsi in zone nascoste e poco abitate: trovarono rifugio nelle Alpi Cozie, nelle valli Pellice, Germanasca e Chisone. Spesso gli eretici erano visti come elementi diabolici e in certi casi accomunati a coloro che venivano accusati di stregoneria e come loro potevano essere condannati al rogo, il tribunale dell’inquisizione fu uno dei maggiori strumenti di persecuzione e costrinse i seguaci di Valdo a vivere nella clandestinità per trecento anni.
Pomaretto, donne in costume valdese al corteo per la festa del 17 febbraio
Il movimento valdese attraversò periodi di grandi difficoltà e forse sarebbe stato totalmente annientato se non avesse avuto una buona organizzazione interna. Da Pradeltorno, villaggio della Val d’Angrogna, partivano i cosiddetti barba (nella parlata locale significa zio: una persona da trattare con rispetto, da barba derivò anche l’appellativo barbèt il nome con cui erano chiamati i valdesi in Piemonte), i pastori predicatori itineranti che visitavano segretamente le piccole comunità che si erano sparse in diverse parti d’Italia, fu grazie alla loro assidua opera che i vari gruppi di valdesi rimasero uniti e fedeli al loro credo.
Nel 1532 i valdesi si riunirono in sinodo a Chanforan, località della Val d’Angrogna, e decisero di aderire alla Riforma protestante. Intanto le persecuzioni messe in atto dagli organi di potere continuarono spietate: nel 1561 per mano della repressione spagnola vennero massacrate alcune comunità calabresi che avevano deciso di non resistere alle autorità; quello stesso anno i valdesi del nord Italia che invece si opponevano con la forza alle azioni repressive si accordarono con il duca Emanuele Filiberto di Savoia e firmarono il Trattato di Cavour: ai protestanti vennero imposti dei rigorosi confini dove potevano esercitare il loro culto, il territorio corrisponde all’area che è ancora oggi nota come Valli Valdesi o, come si dice in loco, semplicemente le Valli.
Questo accordo rappresentò solo una tregua temporanea in quanto non era ancora trascorso un secolo quando nel 1655 il marchese di Pianezza occupò le Valli massacrando quasi duemila valdesi che guidati dal contadino Giosuè Janavel di Rorà opposero unl’eroica resistenza. Questo inaudito fatto di sangue, passato alla storia con il nome di Pasque Piemontesi, scosse l’Europa e i paesi protestanti si mobilitarono e intervennero in aiuto del popolo valdese. Le pressioni diplomatiche internazionali contribuirono al raggiungimento della cosiddetta Pace di Pinerolo che venne firmata quello stesso anno, il duca Carlo Emanuele II di Savoia confermò la libertà del culto valdese all’interno del territorio assegnato ed esentò i valdesi dal pagamento delle tasse per cinque anni.
L’odissea del popolo valdese non era certo finita. Nel 1686 Vittorio Amedeo II, su pressione del re di Francia Luigi XIV, emise un editto che vietava in modo definitivo il culto protestante, le truppe franco-piemontesi attaccarono la resistenza valdese e fu una nuova carneficina: vennero uccise circa duemila persone, le altre furono rastrellate e ammassate in prigioni di fortuna in condizioni impietose. Coloro che abiurarono si salvarono e furono cattolicizzati; quando le prigioni vennero riaperte in seguito alle pressioni degli altri paesi europei, i valdesi che non vollero rinunciare al loro credo furono costretti all’esilio verso la Svizzera e la Germania. Molti morirono durante il lungo viaggio a piedi che portò gli esiliati a superare le Alpi in pieno inverno.
Ma il desiderio dei valdesi del Piemonte era quello di tornare nelle loro valli e più volte cercarono di organizzare il rientro. Ci riuscirono nell’agosto del 1689 con quella che ancora oggi viene chiamata la Gleurieuse Rentrée, la grande marcia che più di novecento tra valdesi e ugonotti, guidati dal pastore Enrico Arnaud, intrapresero dalla località svizzera di Prangins, sul lago Lemano (lago di Ginevra); in una quindicina di giorni superarono le Alpi e percorsero più di duecentocinquanta chilometri combattendo contro le truppe regolari del Piemonte e della Francia e spesso dovettero affrontare anche gruppi di abitanti locali che si opponevano al loro passaggio. Una battaglia epica avvenne a Salbertrand in Valle di Susa dove le perdite furono ingenti, la marcia terminò in località Sibaud nel comune di Bobbio Pellice dove i protestanti superstiti giurarono di rimanere uniti. Gli scontri con gli eserciti regolari continuarono ancora per tutto l’inverno fino all’eroica resistenza degli ultimi trecento protestanti che avvenne il località Balsiglia nel vallone di Massello.
Falò in località Stalè a Luserna San Giovanni
Dopo questi fatti lo stato sabaudo abbandonò la collaborazione con la Francia e si alleò con l’Inghilterra e con l’Austria, i superstiti valdesi poterono reinsediarsi nelle valli piemontesi dove, con l’aiuto degli stati protestanti europei, iniziarono una lunga opera di ricostruzione. Ma le persecuzioni non erano ancora finite e nel Settecento Vittorio Amedeo II riprese la politica repressiva, i valdesi furono costretti a vivere rigorosamente all’interno del loro territorio che venne definito il "ghetto" e molti vennero ancora inviati all’esilio.
Bisognò attendere che le idee innovative della rivoluzione francese facessero il giro dell’Europa prima che anche nel governo sabaudo maturassero dei nuovi principi di tolleranza e di libertà, fu così che le tormentate vicende dei protestanti piemontesi non terminarono che il 17 febbraio del 1848, quando Carlo Alberto concesse le cosiddette "Lettere patenti": l’editto di emancipazione che riconosceva ai valdesi i diritti politici e civili ponendo fine a secoli di discriminazioni. Appena la notizia della ottenuta emancipazione si diffuse, sulle alture delle Valli Valdesi vennero accesi dei grandi falò: i cosiddetti "fuochi di gioia". Ancora oggi, ogni anno la sera della vigilia del 17 febbraio, centinaia di falò illuminano le Valli circondati da gruppi di valdesi festanti che intonano canti e preghiere per ricordare l’ottenuta libertà, la festa prosegue poi il giorno seguente con cortei e culti che si tengono un po’ in tutte le comunità.
Fu l’inizio di un rapido progresso che vide la costruzione di nuovi templi per il culto anche al di fuori delle Valli, di nuove scuole, di ospedali, di una casa editrice, di una facoltà di teologia e di tante altre opere a carattere sociale. L’istruzione subì un grande impulso soprattutto per opera del generale inglese Charles Beckwith che colpito da una cannonata francese aveva perso una gamba nella battaglia di Waterloo, dopo essersi stanziato nelle Valli Valdesi già prima dell’emancipazione aveva dato il via alla costruzione di tante piccole scuole, così anche coloro che abitavano nei villaggi più sperduti ebbero la possibilità di studiare, in questo modo i valdesi raggiunsero un livello culturale decisamente elevato rispetto alla media.

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Testo e foto di Enrico Bertone. Pubblicato il 02.05.2014

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