Perché sì usa l’espressione «stinco di Santo»?
La Pasqua cristiana viene celebrata la domenica che segue il plenilunio successivo
all’equinozio di primavera (21 marzo) cioè, secondo il computo di Dionigi il Piccolo
(525 d.C.) – basato a sua volta su quello alessandino – in una data compresa tra il
22 marzo e il 25 apile. È quindi una festa mobile che regola a sua volta parte dell’anno
linturgico, l’inizio della Quaresima e le solennità successive come l’Ascensione e la
Pentecoste. Questa disposizione venne introdotta da papa Vittore I (circa 189 d.C.),
e poi sancita ufficialmente dal Concilio di Nicea nel 325 d.C., per stabilire una osesrvanza
unica per tutte le Chiese cristiane, sia sul significato della celebrazione sia sul modo di
fissare la data. Nel II e III secolo si era diffuso tra i cristiani d’Oriente, seguendo
una falsa etimologia della parola, l’uso di celebrare la Pasqua come ricordo della passione
e morte di Cristo il 14 del mese di nisan, primo mese del calendario lunare ebraico, cioè
lo stesso giorno della Pasqua ebraica (uso quattordecimano), mentre le chiese d’Oriente,
seguendo l’interpretazione paolina, si erano staccate dalla tradizione giudaica e facevano
cadere il giorno di Pasqua la domenica successiva a tale giorno.
Nel 664, nel sinodo di Whitby, anche le Chiese di Gran Bretagna e d’Irlanda aderirono all’uso
romano e verso la fine dell’VIII secolo si raggiunse l’unità nella celebrazione della Pasqua
in tutto il mondo cristiano. Con la riforma del calendario di papa Gregorio XIII (1582),
il calendario giuliano venne corretto e l’Equinozio di primavera fu ricondotto al 21 marzo.

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