Ebook - Rivista Di Vita Spirituale
Editore: OCD
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Ean: 2484300024887
Prezzo: € 8.00
Descrizione:
SOMMARIO
LAMPADA AI MIEI PASSI
STUDIO E VITA
Incanto del bello. Grazia, bellezza e spiritualità
Antonio Montanari
John Henry Newman. Linee di pensiero sulla fede
Giovanni Palmitessa
VITA MISTICA
Parole dalla frontiera. Itinerario di lettura della simbologia mistica di Teresa d’Avila ed Etty Hillesum (prima parte)
CeciliaClio Borgoni
VITA CARMELITANA
Chiesa mistica e cuore orante. Le Ore canoniche della Regola del Carmelo (prima parte)
Marco Sgroi
VITA DELLO SPIRITO
Segno di contraddizione. Un testo di Karol Woitya da rileggere
Aldino Cazzago
CARMELO VIVO
L’orazione nella vita di Teresa
Francisco Javier Sancho Fermín
RECENSIONI
Il tuono del silenzio
Michele Ciapetti
LAMPADA AI MIEI PASSI
Sì, è vero ciò che dice san Paolo, “ha troppo amato”, troppo amato la sua piccola Elisabetta. Ma l’amore chiama l’amore e io non chiedo più nient’altro al buon Dio se non di capire quella scienza della carità di cui parla san Paolo (cf Ef 3,18-19) e di cui il mio cuore vorrebbe scandagliare tutta la profondità. Sarà il Cielo, […] ma mi sembra che lo si possa già cominciare sulla terra, poiché lo si possiede, Lui, e poiché attraverso ogni cosa si può rimanere nel suo amore.
(Elisabetta della Trinità, Lettera 219)
Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo.
(Ef 2,4-5)
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Editore: OCD
Autore:
Pagine:
Ean: 2484300024894
Prezzo: € 8.00
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SOMMARIO
LAMPADA AI MIEI PASSI
STUDIO E VITA
La vita contemplativa secondo Gabriele di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (prima parte)
Josip Muic
VITA MISTICA
Parole dalla frontiera. Itinerario di lettura della simbologia mistica di Teresa d’Avila ed Etty Hillesum (seconda parte)
Cecilia Clio Borgoni
L’apporto di Jan van Ruysbroeck sul vissuto mistico di Divo Barsotti
Ruggero Nuvoli
VITA CARMELITANA
Chiesa mistica e cuore orante.
La celebrazione delle Ore nella Regola del Carmelo (seconda parte)
Marco Sgroi
VITA DELLO SPIRITO
Il XXX anniversario della Dominum et vivificantem
Aldino Cazzago
San Giuseppe e l’ordine dell’unione ipostatica. Te, Joseph, celebrent
Tarcisio Stramare
CARMELO VIVO
Imparare a pregare, imparare ad amare
Francisco Javier Sancho Fermín
LAMPADA AI MIEI PASSI
Il più giovane dei due figli disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». […] Il figlio maggiore disse a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo commando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici».
(Lc 15,12.29)
Il padre ama ogni figlio e dà ad ognuno la libertà di essere ciò che vuole, ma non può dar loro la libertà che non si sentiranno di assumere o che non comprenderanno adeguatamente. Il padre sembra rendersi conto del bisogno dei propri figli di essere se stessi. Ma egli sa anche che hanno bisogno del suo amore e di una “casa”. Come si concluderà la storia, dipende da loro.
(Arthur Freeman)
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Editore: OCD
Autore:
Pagine:
Ean: 2484300024900
Prezzo: € 8.00
Descrizione:
SOMMARIO
LAMPADA AI MIEI PASSI
STUDIO E VITA
La responsabilità della preghiera nell’ecclesiologia di Edith Stein
Christof Betschart, ocd
La vita contemplativa secondo Gabriele di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (seconda parte)
Josip Mui
VITA MISTICA
Parole dalla frontiera. Itinerario di lettura della simbologia mistica di Teresa d’Avila ed Etty Hillesum (terza parte)
Cecilia Clio Borgoni
SANTA ELISABETTA DELLA TRINITÀ (DOSSIER)
CARMELO VIVO
Santa Elisabetta/Casa di Dio
Bruno Moriconi, ocd
INTRODUZIONE
Elisabetta della Trinità e Anastasio A. Ballestrero
Alla luce della Lettera per la canonizzazione di Elisabetta
Michela Rotondo
Una vita nel mistero del Carmelo Lettera del Rev. P. Preposito Generale dei Carmelitani scalzi
Anastasio A. Ballestrero, ocd
Lettera all’Ordine del Preposito Generale per la canonizzazione della beata Elisabetta della Trinità
Saverio Cannistrà, ocd
STUDIO E VITA
Oltre l’inabitazione Il vocabolario di Elisabetta della Trinità
Roberto Fornara, ocd
VITA MISTICA
Elisabetta della Trinità: «Alla luce dell’eternità»
Aldino Cazzago, ocd
VITA DELLO SPIRITO
Essere “stabili” in Cristo: la preghiera trinitaria di suor Elisabetta della Trinità
Juan Debono, ocd
LAMPADA AI MIEI PASSI
«Concedi al tuo servo un cuore in ascolto, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo mondo così numeroso?».
(1Re 3,9)
Come ha provocato il sogno di Salomone, così ora Dio ne sollecita la richiesta. L’iniziativa è sempre di Dio, ed è Lui infatti ad avere la prima ed ultima parola. La domanda di Dio vuole mettere il nuovo re di fronte alla sua responsabilità e costringerlo a fare delle scelte. Tuttavia Salomone non può sentire il peso del grande compito di fronte al quale si trova. E non può non sentire di essere inesperto e impreparato: «io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi» (v. 7). Perciò chiede a Dio di aiutarlo, con la richiesta di «un cuore in ascolto». Vorrebbe essere un re capace di ascoltare chi è vittima di sopruso e chiede giustizia. Ma l’ascolto è anche, e soprattutto, verso Dio, perché il giovane re ha bisogno di essere illuminato dalla Parola di Dio per essere capace di assicurare diritto e giustizia.
(Giuseppe De Carlo)
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Editore: OCD
Autore:
Pagine:
Ean: 2484300021121
Prezzo: € 8.00
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LAMPADA AI MIEI PASSI
Allora io ero con lui come architetto ed
ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi
davanti a lui in ogni istante;
dilettandomi sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli
dell’uomo.
(Pr 8,30-31)
In principio era il gioco. La Sapienza di Dio giocava con il globo
terrestre, come in una cosmica partita di pallone. Poi, dal football,
il Signore passò al nascondino, come si fa con i bambini, manifestandosi
e nascondendosi, ora in un roveto, ora nel mormorio di
un vento leggero. Mosè ed Elia – complici dell’Altissimo in queste “partite”
– ne fecero l’esperienza. Il Deus absconditus è un Dio che cerca e che
vuole essere cercato: un Dio vicino, eppure totalmente Altro, prossimo e
inafferrabile, “secretissime et presentissime”, come diceva sant’Agostino
(Pietro Pisana)
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Editore: OCD
Autore: Francesca Maria Berardi
Pagine:
Ean: 2484300021220
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
La legittimazione del carisma di Teresa d’Avila passa
attraverso la supervisione da parte dei direttori
spirituali sulla sua esperienza di mistica, fondatrice,
riformatrice. L’accesso alla scrittura è dunque strettamente
dipendente dal controllo. Tuttavia, nonostante
nasca da un obbligo, sarà la stessa scrittura a dar
voce e forma alle esperienze di Teresa facendo emergere
in lei la certezza della loro veridicità e dell’intima
unione con Dio. La scrittura diventa allora testimonianza
del graduale cammino verso la consapevolezza
di sé, creando così una costante tensione tra
l’obbedienza ai superiori, mai messa in discussione, e
la certezza di avere l’unica approvazione che davvero
conta, quella divina.
Introduzione. La decisione della scrittura
Il 27 febbraio 1970 Paolo VI proclamava Dottore della
Chiesa Teresa di Gesù, nata ad Avila, la prima donna cui
è stato conferito un tale riconoscimento. Veniva così definitivamente
e ufficialmente confermata l’universalità e
l’ortodossia della sua dottrina ed esperienza mistica.
Ma il percorso che ha portato Teresa alla canonizzazione
prima (1622), e alla proclamazione a Dottore poi, fino all’acclamazione
come personalità vertice della riforma cattolica, è
stato lungo e tortuoso, costringendo spesso la Santa a trascorrere
la sua esistenza nello strenuo tentativo di difendersi dall’ostilità
di parte di un ambiente circostante che la giudicava inquieta,
vagabonda, disobbediente.
La riabilitazione è infatti avvenuta solo dopo che la sua
esperienza di religiosa, scrittrice, riformatrice, mistica fu controllata,
filtrata, censurata.
È appunto questa necessità di supervisione a spiegare l’accesso
alla scrittura da parte di Teresa, nata da un obbligo e strettamente
dipendente dal controllo su di essa. Rivela infatti l’ansia
e le preoccupazioni dei superiori per questa monaca da molti
giudicata inquieta e pericolosa per le forme potenzialmente incontrollabili
della sua devozione ed esperienza mistica.
Bisogna scavare attentamente nelle esperienze da lei raccontate
e tra le pagine da lei scritte per arrivare a decidere sulla
natura delle emozioni che agitano questa monaca, che tanto fa
parlare di sé. Indagini lunghe e minuziose, inchieste caute e
discrete: a destabilizzare l’istituzione ecclesiastica non è solo la
sua esperienza mistica, ma è anche il ruolo di maestra e guida
per le sue monache, nonché, soprattutto, la sua attività di riformatrice
e di fondatrice.
Controllo, dunque, prima di tutto, sulla sua esperienza
mistica: la ricerca di un legame spirituale più intenso e di un
contatto diretto con Dio appaiono come aspirazioni molto pericolose,
e, se spinte alle estreme conseguenze, potenzialmente
distruttive per la stessa istituzione ecclesiastica.
Controllo, poi, sulla sua attività di maestra d’orazione,
ruolo altrettanto destabilizzante, se esercitato da una donna.
Teresa, una monaca che non conosce il latino, si fa portavoce
di un “suo sapere”, quello lontano, perfino opposto alle certezze
dei teologi, derivante dalla sola esperienza personale, un
sapere “altro”, quasi inciso nell’anima da Dio stesso.
Controllo, infine, sull’attività di fondatrice e riformatrice
del Carmelo: l’aspirazione a una vita cristiana più intimamente
vissuta si trasformerà in azione. In un’epoca in cui qualunque
forma personale di devozione costituisce uno scandalo quasi
inaccettabile, Teresa, una donna, si mostra invece capace di
indicare la strada alla cristianità intera.
È per scongiurare tutti i pericoli che sembra incarnare che
Teresa viene dunque spinta a scrivere ed è il controllo che nasce
da un’imposizione a legittimare l’accesso a un ambito, quello
della scrittura, altrimenti solitamente interdetto alle donne.
Lasciarsi esplorare, esporre la propria esperienza a una
prova di autenticità: la pratica dello scrivere diviene essa stessa
una forma di disciplinamento e auto-disciplinamento.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Bruno Moriconi
Pagine:
Ean: 2484300021268
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
All’interno dell’Ordine carmelitano quello del Venerabile
Giovanni di Gesù Maria è un volto tanto luminoso
per santità e ingegno, quanto coperto dalla
nebbia della dimenticanza. Le nomine ricevute in
vita (Maestro dei Novizi, membro dei Trenta Consultori
della Congregazione della Fede, professore di Teologia
e Sacra Scrittura a Napoli, secondo Consigliere
generale, Procuratore dell’Ordine, infine Generale
dell’Ordine) e i numerosi scritti teologici, spirituali
e missionari che egli ci ha lasciato non sono bastati
a renderlo meritevole della memoria dei posteri, né
dell’altezza degli altari della beatificazione. Dunque,
si tratta qui di riflettere sulle cause di questo mancato
riconoscimento, e di invogliare chi ancora poco
ne sa alla riscoperta di questa grandissima figura di
santo e dotto.
Chi, magari per caso, ha la fortuna di recarsi al
convento di San Silvestro, sull’altura occidentale
di Montecomprati, abitato dai Carmelitani Scalzi
della Provincia del Centro Italia, più che del titolare
della chiesa (San Silvestro Papa, Vescovo di Roma dal 350
al 335), si sentirà narrare di un santo e dotto religioso, morto
in questo convento il 28 maggio 1615. Un secolo dopo la nascita
di Teresa e quattro secoli prima d’oggi.
1. Il Venerabile
Si chiamava padre Giovanni di Gesù Maria ed era nato
in Spagna nel 1564. Entrato nel Carmelo teresiano, poco
dopo era stato inviato, prima a Genova e, quindi a Roma,
divenendo uno dei più meritevoli pionieri di questo Ordine
in Italia. Per l’esempio di vita, ma anche per i numerosi e
profondi scritti teologici, spirituali e missionari, molti di essi,
conservati in varie biblioteche, sono stati ripubblicati, nella
lingua in cui furono redatti, per lo più in latino e, da questa,
tradotti nelle quattro lingue occidentali più frequentate (italiano,
francese, spagnolo e inglese). Le sue opere, comprese
quelle minori e quelle inedite, che raggiungono l’ottantina
hanno già dato vita a una collana (“Ioannes a Iesu Mariae”) di
più di 50 volumi.
Queste le prime cose che il visitatore interessato del convento
San Silvestro si sente dire di lui. Qualsiasi ascoltatore
resta meravigliato di non aver sentito parlare prima di un
così grande personaggio, ma anche molti degli stessi Carme
litani1, pur essendo al corrente del suo grande peso e valore
all’inizio del nascente Carmelo teresiano in Italia, in parte
dell’Europa e nelle prime missioni dell’Ordine, devono confessare,
da una parte, la propria ignoranza e, dall’altra, rammaricarsi
per la nebbia che ancora copre questa grandissima
figura agli occhi dei più.
È vero che fino a sessanta, settanta anni fa, in molte
Province dell’Ordine, soprattutto le sue due opere relative alla
prima formazione al Carmelo: l’Istruzione dei Novizi (in due volumi,
pubblicati a Roma nel 1598 e nel 1605, e l’Istruzione del
Maestro dei Novizi (pubblicato a Napoli nel 1607), facevano ancora
scuola, ma la sua figura è rimasta come sbriciolata tra le
pieghe della tradizione.
Eppure, per invogliare a riscoprire questa figura di santo e
di dotto, pioniere e capostipite del Carmelo europeo e missionario,
basterebbero due cose. Innanzitutto, la considerazione
in cui era tenuto da chiunque, dall’ultimo fedele ai principi,
da cardinali, da santi fondatori e dallo stesso Papa. Non solo
si avvalevano del suo consiglio, ma andavano a visitarlo nella
celletta del suo convento. In secondo luogo, poi, sarebbe sufficiente
anche un fuggevole sguardo ai titoli dei numerosi suoi
scritti e alle significative e intense tappe della sua vita, conclusasi
appena sorpassati i cinquant’anni.
[...]
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Editore: OCD
Autore: François-Marie Léthel
Pagine:
Ean: 2484300021244
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Prima di rinunciare al pontificato, papa Benedetto
XVI compie il passo decisivo per la glorificazione di
Paolo VI riconoscendogli le virtù eroiche di fede, speranza
e carità. Morto il 6 agosto 1978 nella Festa
della Trasfigurazione del Signore, Paolo VI è stato
un testimone eroico e geniale di Cristo Luce del mondo,
Luce che splende nelle tenebre. In effetti, l’eroicità
di Paolo VI appare soprattutto nelle grandissime sofferenze
del suo pontificato, sempre vissute nell’Amore
di Cristo, fino alla fine. Con una coscienza chiarissima
di essere Pastore Universale della Chiesa in un
momento importante e difficile della sua storia nel
mondo, individua nelle tre virtù teologali della fede,
speranza e carità le “armi” per superare le “antinomie”
della Chiesa e orientare l’intero Corpo mistico di
Cristo verso la santità.
Introduzione
Il nostro papa Benedetto XVI ha riconosciuto le virtù
eroiche di Paolo VI il 20 dicembre 2012. È stato uno degli ultimi
grandi atti del suo pontificato, forse uno dei più importanti,
anche se è avvenuto con molta discrezione, nel nascondimento,
senza pubblicità, proprio nello stesso stile di grande
umiltà, tanto caratteristico di Paolo VI come di Benedetto
XVI! Invece la beatificazione di Giovanni Paolo II, il 1° maggio
2011, era stata in qualche modo l’avvenimento più glorioso
del pontificato di papa Benedetto, come una grande luce che
ha toccato tutto il mondo, nello stile diverso di papa Wojtya.
Personalmente, ho avuto la grande grazia di essere coinvolto
nella preparazione di questa beatificazione, soprattutto con la
predicazione degli esercizi spirituali in Vaticano esattamente
due anni fa1. Ricordiamo che il nostro papa Benedetto era
profondamente legato a Paolo VI, che lo aveva conosciuto al
momento del Concilio e che più tardi lo aveva nominato arcivescovo
di Monaco e cardinale, nel 1977. Tra di loro, c’era
una profonda affinità spirituale e intellettuale. Prima di rinunciare
al pontificato, il nostro amato papa Benedetto ha dunque
compiuto il passo decisivo per la glorificazione di Paolo VI. Il
riconoscimento delle virtù eroiche è infatti l’elemento più importante
in vista della beatificazione e della canonizzazione di
un Servo di Dio, anche se è nascosto, come la parte dell’iceberg
che è immersa nell’oceano.
Nella comunione dei santi, simboleggiata da questo “girotondo”
dipinto dal beato fra Angelico, è evidente che il Venerabile
Paolo VI dà anzitutto la mano al beato Giovanni XXIII
e al beato Giovanni Paolo II. Tra questi due santi Papi “strapopolari”,
Paolo VI si nasconde, tanto che viene facilmente dimenticato.
È stato chiamato infatti «il Papa dimenticato». Così
ha lasciato la precedenza a Giovanni Paolo II sulla via della
beatificazione! Ma adesso, in quest’Anno della fede, ci viene
proposto dal nostro papa Benedetto come esempio luminoso
di fede, speranza e carità, che sono sempre le principali virtù
eroiche riconosciute dalla Chiesa. In questo 50° anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano II, bisogna ricordare, riscoprire
questo grande Papa del Concilio. Se Giovanni XXIII
ha avuto il coraggio profetico di aprire il Concilio Vaticano II,
Paolo VI ha avuto la missione di guidarlo, di concluderlo e di
farlo entrare nella vita della Chiesa nel periodo molto difficile
del post-Concilio.
Prima della sua elezione, Mons. Montini era stato il principale
collaboratore del Venerabile Pio XII come pro-segretario
di Stato. Poi, è stato molto vicino a Giovanni XXIII. Diventato
Papa, è proprio lui che ha creato i cardinali che saranno poi
i suoi successori sulla Sede di Pietro: Albino Luciani, Karol
Wojytya e Joseph Ratzinger.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Saverio Cannistrà
Pagine:
Ean: 2484300021251
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Ripercorrere la vita di Teresa di Gesù in riferimento
alla relazione con la figura paterna presuppone
l’implicazione dell’autorità, la Legge, la Parola, la
verità originaria, la strutturazione del desiderio.
Dopo la fuga dalla casa paterna e una fase di annichilazione,
di buio di un’identità frammentata, Teresa
muove i primi passi sotto la guida di un padre,
del suo “vero padre san Giuseppe”. In san Giuseppe,
discendente di Davide, che non rinnega la sua origine,
ma la riceve nella forma di una negazione di
se stesso, di una radicale obbedienza non al mondo,
ma all’Altro amato, l’articolo intravvede un’icona di
padre libero proprio perché profondamente obbediente,
capace dunque di trasmettere al figlio la propria
eredità, insinuando invece, nel caso particolare di
Teresa, il “lavoro” di trasmissione che ella ha dovuto
compiere da sola.
Benché non si tratti certamente di un tema secondario,
e nonostante l’oceanica bibliografia su santa
Teresa, ho l’impressione che il tema della paternità
finora non sia stato studiato in modo sufficientemente
ampio e approfondito (per non dire sistematico). Oggi
probabilmente sentiamo più urgente l’esigenza di interrogarci
sulla paternità, perché – almeno nel nostro mondo occidentale
– è una dimensione messa in discussione dai recenti cambiamenti
culturali e sociali. Già alla fine degli anni Sessanta
Lacan definiva il nostro tempo come l’epoca della “evaporazione
del padre”1. Un suo discepolo italiano parla del “complesso
di Telemaco”, quasi come contrapposto al “complesso
di Edipo”, dal momento che il padre, invece di essere visto
come temibile rivale, è piuttosto atteso come l’unica speranza
di riportare la Parola, e con essa l’ordine e la giustizia nella
patria invasa da prepotenti e usurpatori2. Insomma, dopo le
lotte degli anni Sessanta-Settanta contro la società e la famiglia
autoritaria, oggi si riflette sempre di più sui rischi di una
“società senza padre”. La vagheggiata società “fratriarcale” si è
rivelata in realtà ancora più problematica di quella patriarcale,
essendo dominata da una competitività orizzontale esasperata
tipica dei fratelli dove «il conflitto principale non è caratterizzato
dalla rivalità edipica, che contende al padre i privilegi del
potere e della libertà, ma dall’invidia fraterna verso il vicino,
il concorrente che ha avuto di più»3. La logica conclusione di
tale processo storico è che, piuttosto che cestinare il ruolo e la
figura del padre, è necessario ripensarli in una forma nuova,
più adeguata ai mutamenti culturali e antropologici del nostro
tempo.
Indubbiamente, il discorso sul padre non riguarda solo la
famiglia, ma ogni forma di comunità, non esclusa ovviamente
la comunità religiosa. Sappiamo quanto problematico sia diventato
l’esercizio della paternità sia in quanto superiori (o formatori)
nella vita religiosa, sia in quanto ministri ordinati nella più
ampia comunità ecclesiale. Pertanto, non possiamo far finta di
ignorare la complessa problematica antropologica, sociologica
e psicologica che si addensa intorno al tema della paternità, se
non vogliamo limitarci a ripetere pacificanti stereotipi.
Ma il discorso si fa ancora più radicale, se pensiamo che
anche il modo di concepire Dio e la relazione dell’uomo con
Lui sono strettamente collegati a una certa idea di paternità.
Perdita del padre e perdita di Dio sono esperienze collegate.
Com’è possibile pregare o quale Dio si può pregare in assenza
del Padre, quando – come diceva Jean Paul Richter – «ogni Io
è padre e creatore di se medesimo»? L’inevitabile conclusione
è che «noi siamo tutti orfani» e – secondo questo incunabolo
settecentesco del nichilismo contemporaneo – è Cristo stesso
che la trae di fronte alla vuota immensità, in cui non c’è nessun
«petto paterno» su cui appoggiare il capo per riposare4. Tutto
ciò, peraltro, non coincide sic et simpliciter con l’ateismo, quanto
con una problematizzazione dell’immagine tradizionale di Dio
e della relazione con Lui (ciò che si potrebbe definire un superamento
del teismo, ma questo è un altro discorso).
[...]
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Editore: OCD
Autore: Giovanni Palmitessa
Pagine:
Ean: 2484300021237
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
La figura di John Henry Newman ha goduto di una
certa notorietà in Italia a partire dalla sua alquanto
recente beatificazione, proclamata da Benedetto XVI
nel settembre 2010 durante il suo viaggio in Inghilterra.
Un aspetto che ha fortemente caratterizzato il
suo pensiero è il rapporto tra fede e ragione, nonché
la ragionevolezza della fede. Ed è proprio l’analisi del
rapporto tra fede e ragione che rappresenta una delle
costanti nella sua riflessione, nonché un efficace
punto di riferimento per comprendere questo Autore.
Tuttavia non si comprenderebbe il pensiero di Newman
se non si tenesse conto del grande problema che
lo appassionò per tutta la vita e al quale riuscì a
dare risposta: quello della giustificazione razionale
della fede del semplice credente, ovvero il problema
della certezza. In lui c’è consapevolezza che è possibile
dare un assenso ragionevole alla fede cristiana, che
rivendica un’origine soprannaturale e presenta delle
verità che trascendono l’intelletto umano.
…ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori,
pronti sempre a rispondere a chiunque
vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto… (1Pt 3,15)
Introduzione
Se volessimo con una frase riassumere la grande personalità
umana e culturale nonché lo stile di vita del
beato cardinale John Henry Newman (21 aprile 1801
– 11 agosto 1890), non troveremmo di meglio che
quella succitata. Difatti, l’intento centrale del suo pensiero è
la giustificazione riflessa e metodica della razionalità della fede
cristiana del semplice credente1.
La figura di John Henry Newman ha goduto di una certa
notorietà in Italia a partire dalla sua alquanto recente beatificazione,
proclamata da Benedetto XVI nel settembre 2010
durante il suo viaggio in Inghilterra. Dietro questa felice ricorrenza
molte sono state le pubblicazioni d’occasione, atte a divulgare
l’opera e la figura del cardinal Newman, la cui vicenda
di convertito e la cui produzione culturale hanno, in Italia, un
pubblico ancora modesto. Eppure vi sono testi e ricerche che
non nascono specificamente per questa occasione e che hanno
il merito di scandagliare in profondità la proposta culturale
del convertito oxoniense, facendone emergere l’originalità
e fecondità teorica oltre che la vasta conoscenza teologica e
storica. Ultimamente, invece, stiamo assistendo a un interesse
notevole circa lo studio dell’opera di Newman che ha visto in
quest’ultimo periodo considerevoli pubblicazioni. E crediamo,
come evidenzia Callegari, che «uno dei motivi che hanno portato
alla recente rivalutazione del pensiero di Newman è stata
la crisi contemporanea della idea di scienza derivata appunto
dal sistema newtoniano»2.
Sicuramente, quindi, molto è stato scritto su questo eminente
pensatore e scrittore, come qualcuno l’ha definito, apologeta,
teologo, poeta, sacerdote, educatore, giornalista, polemista, storico.
Newman è una personalità intellettualmente talmente poliedrica
e ricca di sfaccettature che non è possibile sintetizzare
il suo pensiero filosofico, teologico, apologetico, storico in un
sistema unitario. Non è possibile perché il suo stesso modo di
procedere non è mai stato sistematico, ma si è sempre lasciato
guidare dagli avvenimenti interiori ed esterni.
Il nostro intento, quindi, non sarà quello di fare una trattazione
sistematica ed esaustiva di questo singolare Autore, peccheremmo
di presunzione, ma di evidenziare un aspetto che ha
fortemente caratterizzato il suo pensiero: il rapporto tra fede
e ragione, nonché la ragionevolezza della fede. Ed è proprio
l’analisi del rapporto tra fede e ragione che rappresenta una
delle costanti nella sua riflessione, nonché un efficace punto
di riferimento per comprendere questo Autore.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Tarcisio Stramare
Pagine:
Ean: 2484300021275
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
L’articolo sviluppa il rapporto san Giuseppe–vita
consacrata alla luce dell’Esortazione apostolica Vita
consecrata di Giovanni Paolo II, evidenziando gli
innumerevoli accostamenti tra il “fece” di Giuseppe
(Mt 1,24) e l’essenza della vita consacrata, la quale
ha in Giuseppe, “insieme con Maria”, il suo naturale
modello. Come si vedrà, il focus su san Giuseppe
non adombra minimamente la presenza di Maria,
anzi, il loro vincolo di comunione e di aiuto reciproco
viene a significare, nella fattispecie per i consacrati,
anche un modo di vivere insieme la missione per cui
si è stati chiamati.
1. Anno della vita consacrata
è trascorso un anno dalla conclusione dell’Anno della
vita consacrata (30 novembre 2014 – 2 febbraio 2015),
indetto da papa Francesco in occasione del 50° anniversario
della Costituzione
Chiesa, che nel cap. VI tratta dei Religiosi, come pure del Decreto
Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa.
Papa Francesco affida l’Anno della vita consacrata a Maria,
«la Vergine dell’ascolto e della contemplazione», qualità pienamente
condivise dal suo sposo san Giuseppe. La presenza
di Maria, infatti, richiama necessariamente quella di san Giuseppe.
Poiché i religiosi devono apprendere «la mistica di vivere
insieme, che fa della nostra vita un santo pellegrinaggio», san
Giuseppe non è separabile da Maria, avendo egli «sostenuto
la sua sposa nella fede della divina annunciazione… posto per
primo da Dio sulla via della peregrinazione della fede, sulla quale
Maria – soprattutto dal tempo del Calvario e della Pentecoste –
andrà innanzi in modo perfetto»1.
2. Il primato della vita interiore
Nell’Esortazione apostolica Redemptoris custos, Giovanni
Paolo II dedica un capitolo a “Il primato della vita interiore”
e afferma, riferendo un’omelia di Paolo VI, che è appunto
nella «sua insondabile vita interiore» che trova la sua ragione
adeguata «il sacrificio totale, che Giuseppe fece di tutta la sua
esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria
casa» (n. 26). Il «sacrificio totale» di Giuseppe affiora nel momento
in cui Dio, attraverso il ministero angelico, «lo chiamò
ad essere il Custode del Redentore»; subito egli «fece come gli
aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa»
(Mt 1,24). «Egli la prese in tutto il mistero della sua maternità,
la prese insieme col Figlio che sarebbe venuto al mondo per dogmatica Lumen Gentium sulla
opera dello Spirito Santo: dimostrò in tal modo “una disponibilità
di volontà, simile a quella di Maria”, in ordine a ciò che
Dio gli chiedeva per mezzo del suo messaggero» (n. 3).
Siccome non è possibile trattare della persona consacrata
senza tenere costantemente presente l’Esortazione apostolica
Vita consecrata di Giovanni Paolo II, svilupperemo questo argomento
alla sua luce, evidenziando gli innumerevoli accostamenti
tra il “fece” di Giuseppe e l’essenza della vita consacrata,
la quale ha in Giuseppe, “insieme con Maria”, il suo naturale
“modello”.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Fabio Roana
Pagine:
Ean: 2484300021152
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Il ciclo di Elia è un testo narrativo e come tale è interpretabile
con gli strumenti che offre l’analisi narrativa,
oltre che con il supporto del metodo storico-critico.
Si può così scoprire che esso ha avuto una lunga
elaborazione, è stato recepito, pensato, trasmesso e,
aggiungiamo, attualizzato e rivissuto. La storia di
Elia, di Acab e degli altri soprattutto ci aiuta, oggi
come allora, a riconoscere Chi è Dio e chi sono i Suoi
che abitano il monte dell’incontro con Lui e le strade
del mondo, qualunque forma questo monte e queste
strade assumano.
Terza parte
Attraverso una riflessione sul narratore, sui personaggi,
sulla cornice del racconto e sul lettore, cerchiamo
ora di comprendere il messaggio del ciclo
di Elia. L’analisi si baserà soprattutto sulla sottosezione
1Re 16,29-19,18, vista la sua centralità e l’approfondimento
fatto nella seconda parte dell’articolo.
1. Il narratore
La voce (o l’istanza) narrativa1. Il narratore del ciclo di Elia
racconta questa storia inserendola nell’ampio percorso dei
Libri dei Re, che copre i secoli che vanno da Davide a Ioiachìn,
cioè dal decimo al sesto avanti Cristo. Egli compie con quest’opera
una riflessione storica in forma di narrazione, rimanendo
esterno ai fatti e osservandoli da un punto di vista particolare.
Si può parlare dunque in generale di narratore extradiegetico
(esterno al racconto) ed eterodiegetico (assente dal racconto),
con l’eccezione, per quel che concerne il ciclo di Elia, di casi
come quello di 1Re 18,10.13, in cui il personaggio di Abdia
diventa narratore intradiegetico (interno al racconto), prima
eterodiegetico (assente) e poi omodiegetico (presente nel racconto),
o come quello di 1Re 20,39-40, in cui «uno dei figli
dei profeti» (v. 35) diventa narratore intradiegetico e omodiegetico,
o ancora come quello di 1Re 22,19-23, in cui il profeta
Michea diventa narratore intradiegetico e omodiegetico (presente come semplice testimone; in tutti e tre i casi si tratta comunque
di un narratore secondo). Il narratore primario né usa
la prima persona, né fa parte dell’«universo spazio-temporale
dispiegato dal racconto»2, ma ne è in qualche modo coinvolto
(insieme al lettore), come trapela dalla sua maniera di raccontare
(si veda la distinzione tra i personaggi positivi e negativi),
di esprimere un giudizio storico (in modo chiaro nei brani che
fanno da cornice: 1Re 16,29-33 e 22,41-54) e di riferirsi a certe
fonti condivise (1Re 22,39.46 e 2Re 1,18), rivolgendosi implicitamente
a un tu o a un voi.
Il punto di vista (e la conoscenza) del narratore. Nella sezione
in esame il narratore non dichiara direttamente un suo
giudizio sui personaggi e sugli avvenimenti, ma sintetizza a più
riprese la prospettiva del Signore (JHWH) e riporta le sentenze
dei suoi profeti, selezionando oculatamente gli argomenti che
tratta, come sembra affermare in 1Re 22,39.46 e 2Re 1,18 (si
pensi, per esempio, alla realizzazione delle profezie); la storia
che racconta comunica e suscita una presa di posizione sulle
cose, tanto che studiosi come Marco Liverani o Marco Nobile
devono rimarcare bene la distinzione dei fatti descritti nei Libri
dei Re da quelli che si possono oggi ricostruire attraverso una
ricerca storiografica3.
Ponendo attenzione allo sguardo del narratore, si può dire
che egli svolge una cronaca dall’esterno, fermandosi soltanto
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Editore: OCD
Autore: Giuseppe Midili
Pagine:
Ean: 2484300021206
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Sperimentando la necessità di proseguire il percorso
tracciato dal movimento liturgico e dalla riforma
liturgica conciliare, a partire dall’anno pastorale
2010-2011 la diocesi di Roma ha ideato e messo
in atto un progetto pastorale che coniuga insieme
liturgia, catechesi e carità. Il progetto, che ha come
fine quello di creare una “convivenza armonica” tra
teologia liturgica e prassi liturgica in vista di una
partecipazione attiva e cosciente alla celebrazione del
mistero di Cristo da parte di pastori e fedeli, è ancora
in via di evoluzione. Qui si presenta lo sviluppo progettuale
dell’itinerario, tenendo conto delle esigenze
emerse e delle prospettive aperte appunto per la Diocesi
dal papa Benedetto XVI e dal cardinale Vallini.
Premesse
La diocesi di Roma, che presiede nell’amore, a partire
dall’anno pastorale 2010-2011 ha ideato e
messo in atto un progetto pastorale che coniuga insieme
le tre linee guida classiche: liturgia, catechesi
e carità. Il percorso iniziale e le sue prosecuzioni sono state
tracciate nel contesto di una riflessione condivisa dei pastori e
dei battezzati e ha messo in luce le priorità e le esigenze della
comunità diocesana. Questo studio vuol presentare lo sviluppo
progettuale dell’itinerario e proporlo non come modello assoluto,
ma piuttosto come prototipo imitabile su cui riflettere per
elaborare itinerari simili, sia a livello di metodologia di studio e
analisi di una situazione pastorale, sia a livello di applicazione
delle scelte emerse e condivise. Il percorso elaborato in sede di
progettazione pastorale può essere utile agli studiosi di liturgia
e pastorale per esaminare l’applicazione di principi teologici,
scaturiti dalla riflessione accademica e scientifica, alla prassi
pastorale della vita di una diocesi concreta, al fine di favorire
l’incremento della vita di fede. L’angolo di osservazione privilegiato
è quello della dimensione pastorale della liturgia: un
criterio che scaturisce da una attenta lettura della Costituzione
Liturgica, a cinquant’anni dalla sua promulgazione1. A questo
proposito, la definizione classica di pastorale liturgica si può reperire
nel contributo di A.M. Roguet, in cui egli scrive: «Poiché
la pastorale è l’arte di governare, istruire e santificare il popolo
fedele, la pastorale liturgica è la parte di quest’arte che consiste
nel farlo partecipare attivamente e coscientemente alla
celebrazione del culto, affinché attinga alla sua fonte il vero
spirito cristiano»2. La liturgia, per sintetizzare in maniera forte
il primo capitolo della Costituzione Sacrosanctum Concilium, è
una realtà in cui i due elementi – teologia liturgica e prassi
pastorale – non sono più riconoscibili, perché hanno dato vita
a un’esperienza, quella celebrativa, che non lascia intravedere
più le singoli componenti, perché è diventata “fatto nuovo”, è
la liturgia della Chiesa3. Sembra invece che persista ancora uno
squilibrio tra la riflessione sulla liturgia (o meglio forse sulla
teologia liturgica), talvolta trattata come dimensione teorica e
astratta, e la prassi pastorale, apparentemente umile e approssimativo
tentativo di applicazione di quei principi elevati.
Volendo offrire una sintesi di tutto il percorso di formazione
liturgica proposto dalla diocesi di Roma negli ultimi
anni, si potrebbe proporre un titolo molto semplice: dalla riflessione
teologica alla prassi pastorale. In questo modo si introduce
nel cammino liturgico un concetto di movimento “da”
un punto “verso” un altro, quasi il moto di oscillazione di un
pendolo, che ha un perno fisso e oscilla lungo il suo tragitto.
Partire dalla riflessione per andare verso la prassi lascerebbe
pensare che esista una frattura tra la riflessione teologica e la
prassi pastorale e quindi siano da investigare le modalità per
creare una nuova “armonica convivenza”. Sembrerebbe esagerato
parlare di “frattura”, piuttosto oggi è sembrato necessario
elaborare un percorso, cioè maturare un itinerario che introduca i
frutti della riflessione teologica nella prassi pastorale, in modo
da garantire che ogni scelta pastorale, anzi tutta la prassi pastorale,
sia animata da una vera linfa di teologia, nello specifico
di teologia liturgica.
[...]
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Editore: OCD
Autore:
Pagine:
Ean: 2484300021138
Prezzo: € 8.00
Descrizione:
LAMPADA AI MIEI PASSI
Questo comando che oggi ti ordino
non è troppo alto per te, né troppo
lontano da te. Non è nel cielo,
perché tu dica: chi salirà per noi
in cielo?… Non è di là dal mare,
perché tu dica: chi attraverserà per
noi il mare?
(Dt 30,11-13)
Il mistero non è qualcosa distaccato da noi stessi, qualcosa
lontano come l’arcobaleno nel cielo; il mistero è lì, fuori
della porta, in tutte le cose che possono essere vedute, non
soltanto là dove vi è più di quanto i nostri sensi possano afferrare…
Il mistero non è un’eccezione ma un’atmosfera che regna
intorno a ogni essere, una condizione spirituale della realtà; non
qualcosa a parte, ma una dimensione dell’esistenza tutta
(Abraham Joshua Heschel)
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Editore: OCD
Autore: Bruno Moriconi
Pagine:
Ean: 2484300021190
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Prima della gloria dell’ebrea Edith Stein il Carmelo
aveva avuto una santa araba della Palestina,
Mariam Baouardy. Non una martire dei campi di
concentramento, ma una testimone della vera umiltà
nella dedizione di una vita trascorsa in ossequio di
Gesù Crocifisso. Una vita punteggiata di segni straordinari,
che tuttavia non sono l’essenza della sua
santità. La grandezza di questa figlia della Chiesa,
«Ponte tra i due polmoni della Chiesa, l’Oriente e
l’Occidente», sta nella sua piccolezza, nella costante
aderenza e nel continuo adempimento delle parole di
Gesù «Se non vi convertirete e non diventerete come i
bambini, non entrerete nel regno dei cieli»(Mt 18,4).
Papa Francesco – si leggeva in un comunicato ANSA del 17
maggio 2015 – è arrivato a piazza San Pietro dove sta per cominciare
la celebrazione per la canonizzazione di quattro
donne, due suore della Palestina, una italiana e una francese.
In piazza anche le delegazioni dei tre Paesi. Per la Palestina
è presente il presidente Abu Mazen; a guidare la delegazione
francese è il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve. Le
autorità italiane sono invece rappresentate dal sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti. Ma è
soprattutto la Palestina a fare festa oggi in Vaticano, anche
perché si tratta delle prime sante di questa terra nell’epoca
moderna. Sono arrivati dal Medio Oriente oltre duemila cristiani.
In piazza anche il Patriarca latino di Gerusalemme,
monsignor Fouad Twal. Fin dalle prime ore di questa mattina
piazza San Pietro era già un tappeto di bandierine verdi-bianche-
nere con il triangolo rosso.
Nel mio recente libro dedicato a svariati “Volti del
Carmelo”1, quello di suor Maria di Gesù Crocifisso,
non vi aveva trovato posto e, confesso, che
è stata una svista assai grave, data la sua testimonianza
formidabile di semplicità e umiltà. Un vero volto di
piccolezza, proprio secondo quanto insegna il Vangelo come
ideale di tutti. «In verità vi dico», ci dice, infatti, Gesù da quelle
pagine, «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini,
non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,4).
Sì, prima della gloria dell’ebrea Edith Stein il Carmelo
aveva avuto una santa araba della Palestina, Mariam Baouardy.
Non una martire dei campi di concentramento, ma una testimone
della vera umiltà nella dedizione di una vita trascorsa
in ossequio di Gesù Crocifisso. Una vita punteggiata anche di
segni straordinari, ma non sono questi – come si legge nella
Lettera Pastorale degli Ordinari Cattolici di Terra Santa in occasione
del 125° della sua morte – «l’essenza della sua santità.
Questa consiste soprattutto nella semplicità e nella spontaneità
della sua vita di unione con Dio. Era analfabeta, ma dettò degli
scritti che manifestano un’esperienza spirituale simile a quella
dei grandi mistici nella storia della Chiesa»2.
«La canonizzazione di Mariam è l’occasione per far conoscere
e diffondere largamente i frutti di santità della Chiesa
d’Oriente», hanno scritto le monache del suo Carmelo di Betlemme.
«Effettivamente», aggiungevano, «Mariam è un Ponte
tra i due polmoni della Chiesa, l’Oriente e l’Occidente. Ella
raggiunge gli uni e gli altri, ricongiungendoli alle loro radici e
invitandoli alla comunione». Battezzata, infatti, nel rito bizantino
della Chiesa melchita, in Egitto parrocchiana della Chiesa
Copta, solo da religiosa entrò nel rito latino della Chiesa d’Occidente.
«Ci sia permesso di augurarci», scriveva nel 1930 un ebreo
convertito, «che questa piccola illetterata possa diventare la patrona
degli intellettuali»3. «Devo confessare di essere rimasto
impressionato», ha scritto, di fatto, Amedée Brunot nella prefazione
al suo libro su Maria di Gesù Crocifisso, «dal fascino che
la giovane mistica araba ha esercitato su numerosi intellettuali
cattolici: Maurice Barrès, Léon Bloy, Francis Jammes, Julien
Green, Jacques Maritain, Louis Massignon, René Schwob…».
[...]
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Editore: OCD
Autore: Roberto Fornara
Pagine:
Ean: 2484300021169
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Senza arrivare a un’elaborazione sistematica, si elaborano
alcune linee orientative e alcuni criteri di discernimento
del fenomeno mistico cristiano, partendo
da due prospettive diverse e complementari: a livello
ermeneutico, la prospettiva esperienziale e magisteriale
di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della
Croce, entrambi Dottori della Chiesa; a livello metodologico,
una prospettiva di teologia simbolica, prendendo
come punto di riferimento il testo biblico del
roveto ardente (Es 3,1-6), in quanto particolarmente
adatto a fornire elementi utili alla ricerca in oggetto.
Se è vero che la mistica cristiana conosce una sua storia
e dunque una sua evoluzione dinamica, è altrettanto
vero che ai nostri giorni la nozione di mistica conosce
un’importanza forse mai raggiunta e un’estensione di
significato mai conosciuta prima d’ora. Qui risiedono le ragioni
principali dell’ambiguità dell’uso sconsiderato del termine,
sia a motivo della sua ampiezza semantica, sia per lo sconfinamento
dal campo strettamente teologico a quello filosofico,
etico, estetico, affettivo, esperienziale. «Il ventunesimo secolo
o sarà mistico o non sarà», aveva profetizzato alcuni decenni
fa A. Malraux, e la sua profezia è universalmente conosciuta
soprattutto grazie alla declinazione rahneriana: «Oggi, se non
si è mistici, non si può essere nemmeno cristiani»1. Non servono
analisi approfondite di tipo teologico, fenomenologico,
filosofico o sociologico per constatare che la profezia si sta
evidentemente realizzando. Ma l’evidenza di fondo è che tale
realizzazione si compie per lo più al di fuori delle vie classiche
o tradizionali. Quale differenza esiste tra una mistica cristiana
e la mistica delle altre esperienze religiose? Si può dare una
mistica autenticamente cristiana al di fuori della mediazione
sacramentale o dell’esperienza ecclesiale? Qual è il confine tra
la portata razionale dell’esperienza mistica e il coinvolgimento
affettivo del soggetto? In che misura la stabilizzazione affettiva
e l’autorealizzazione della persona sono coinvolte nel processo
mistico? Siamo di fronte a una triplice evidenza:
– il concetto e la portata del fenomeno mistico sono in una
fase di evoluzione dinamica e di approfondimento (e
questo non può che essere salutato positivamente);
– tutto ciò che si è detto a proposito di questa evoluzione,
comporta, però, anche molti rischi e numerose ambiguità.
Se il fenomeno mistico è per antonomasia il terreno propizio
dell’ambiguità, suscettibile pertanto del necessario
discernimento (la storia della mistica cristiana sarebbe sufficiente
ad offrire abbondante documentazione in proposito),
mai come in questo periodo la teologia è chiamata a
farsi voce di verità e di discernimento. Parafrasando i due
autori citati, si potrebbe dire: “O la mistica cristiana sarà
autentica, o non sarà”;
– non si può negare, d’altra parte, che anche le esperienze
“mistiche” o pseudomistiche nell’alveo delle tradizionali
chiese cristiane, soffrono molto spesso del contagio di sensazionalismo,
spiritualismo disincarnato, devozionalismo
superficiale, sentimentalismo epidermico. Si rende pertanto
doppiamente necessario un discernimento radicale
del fenomeno mistico2.
Come orientarci in questo lavoro di discernimento della
mistica cristiana?
[...]
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Editore: OCD
Autore: Cristiana Dobner
Pagine:
Ean: 2484300021183
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Uno studio che si presenta come viaggio da Toledo ad
Avila, attraverso i secoli, alla scoperta di prove, ducumenti,
testimonianze e fatti, che attestino l’ascendenza
marrana di Teresa di Gesù. Un’importante occasione
per conoscere, nel rispetto della verità storica,
la verità su Teresa di Gesù e la Chiesa.
Mi stupisco nel trovarmi in Avila, «autentico diamante
di pietra grezza, dorata dal sole dei secoli
e da secoli di sole…»1, come scrive Miguel
de Unamuno e nel quadro della Settimana Europea
della Cultura ebrea.
Teresa di Gesù2 costringe a porsi molti interrogativi, a mettersi
in questione e a tentare di dare e darsi qualche risposta.
Voglio considerare la Mater spiritualium sotto un’ottica
specifica che consente di toccare con mano una realtà storica
poco conosciuta e molto volentieri misconosciuta: Teresa, così
amante della verità, dovrebbe affermare “Io discendo da marrani”.
Sarà un viaggio che toccherà due città: Toledo e Avila;
transiterà in secoli diversi e la cui meta sarà il nostro oggi, per
non cadere nella ben nota trappola di una rammemorazione
erudita ma sterile.
Fino a vent’anni fa, in un’opera molto nota di V. Sackville-
West, L’aquila e la colomba, dedicata nella prima parte a Teresa
di Gesù, si leggeva una pagina che può servire da griglia, ma
esattamente all’opposto, nella nostra ricerca. Voglio leggerla
integralmente per far comprendere quanto i pregiudizi abbiano
insabbiato e deformato la storia reale:
L’orgoglio razziale [allora] era fortissimo, non solo per
l’arroganza innata dei Castigliani, ma per il triplice motivo
dell’infiltrazione moresca, dell’odio antiebraico, e dei giudizi
irrevocabili dell’Inquisizione. Perché uno Spagnolo potesse
camminare a testa alta era necessario che egli fosse certo di
possedere un sangue impeccabilmente limpido, limpia san-
gre; quella purezza o limpieza, cioè, che lo facesse giudicare
del tutto esente da ogni infiltrazione inquinatrice giudaica
o maomettana, non solo, ma mondo altresì da ogni vincolo
di discendenza con gente condannata in antico dal tribunale
dell’Inquisizione, colpa questa che non era possibile dissimulare,
poiché il reo era costretto a indossare la divisa gialla
marchiata della croce di Sant’Andrea. Di questo tremendo
castigo i Cepeda erano fortunatamente immuni e nemmeno
la più piccola macchia contaminava il blasone di Alonso de
Cepeda, quello delle due mogli e dei suoi dodici figli. Essi potevano
godere tutti del privilegio o tratamiento dell’hidalgo che
conferiva il prefisso di “Don” e di “Doña”, a seconda del caso,
ma che nel caso di Teresa era più che superfluo poiché la
futura santa dava in escandescenze vere e proprie ogni volta
che qualche ben pensante si rivolgeva a lei chiamandola col
suo titolo. I Cepeda erano al disopra di ogni sospetto, chiusi
nel loro palazzo presso i bastioni che sovrastavano proprio il
vecchio quartiere ebraico, ora deserto3.
Dopo aver ampiamente sorriso, tentiamo di delineare un
tracciato autentico, rispettoso della verità storica che, peraltro,
non sminuirà per nulla la grandezza di Teresa di Gesù, anzi
la renderà aperta al nostro tempo e non ridotta soltanto a un
reperto archeologico.
Si viene creando quindi «una chiave interessante di lettura
della Santa»4 che farà emergere alcune componenti dell’identità
di Teresa, perché la trasmissione della tradizione familiare
non è indifferente nella creazione della personalità e della selfimage
di ciascuno.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Angela Anna Tozzi
Pagine:
Ean: 2484300021176
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Giovanni Paolo II mette al centro della sua filosofia
l’esperienza dell’uomo. La sua antropologia parte
dall’esperienza della persona che agisce, e questo tipo
di esperienza costituisce un metodo per avvicinarsi
alla struttura ontologica della persona. Ne consegue
che la persona si conosce e si realizza pienamente soltanto
nell’amore dell’altro, trascendendo il proprio
io e offrendosi liberamente in dono. La via a ciascun
uomo e per il ritorno a Dio è, in ultima analisi,
Cristo.
Per studiare il concetto di “umanesimo” negli scritti e
nel “magistero” di Giovanni Paolo II mi sono servita
dei testi riguardanti Persona e Atto1 e ho centrato l’attenzione
su due encicliche molto importanti: Redemptor
Hominis e Dives in Misericordia.
Il vero umanesimo è cristiano ha detto il Concilio, proclamando
che «la più alta ragione della dignità dell’uomo consiste
nella sua vocazione alla comunione con Dio» (GS 9)2.
Senza la trascendenza, non si dà esatta interpretazione
dell’uomo. Il cristianesimo vuole essere lo sviluppo di tutto
l’uomo. Il Concilio sottolinea che, per attuare il proposito della
Chiesa di rendere più umana l’umanità, occorre risanare ed elevare
la dignità della persona umana, consolidare la compagine
della società, immettere un senso più profondo nell’attività
degli uomini (cf GS 40-43). Il Concilio Vaticano II ha ribadito
che, senza l’istanza religiosa e l’aspirazione alla filosofia dell’essere,
che raggiunge l’Assoluto trascendente, non tanto in base
ai dati dell’esperienza offerti dal mondo fenomenico, quanto a
quelli vissuti dalla persona alla luce dell’autocoscienza, non si
può parlare compiutamente di dignità della persona.
Siamo testimoni – scrive con intima soddisfazione Giovanni
Paolo II – di un sintomatico ritorno alla metafisica (filosofia
dell’essere) attraverso l’antropologia integrale. Non si può
pensare adeguatamente l’uomo senza il riferimento, per lui
costitutivo, a Dio. è ciò che san Tommaso definisce actus essendi
con il linguaggio della filosofia dell’esistenza. La filosofia
della religione lo esprime con le categorie dell’esperienza antropologica3.
Ovviamente, Giovanni Paolo II si riferisce alla persona umana
reale, la cui esistenza si risolve sempre in coesistenza nel rapporto
Io-Tu, che condiziona necessariamente la vita e, nella
vita (coniugale, familiare, civile), il dialogo4.
[...] per quanto siano gravi le prevaricazioni del cuore umano,
i guasti provocati dal peccato, le miserie che ne seguono,
tuttavia non c’è creatura che non serbi un germe di bene,
un barlume di verità, e quindi che non avverta il bisogno di
evolversi, di redimersi5.
A lui vogliamo guardare, perché solo in lui, Figlio di Dio,
c’è salvezza, rinnovando l’affermazione di Pietro: «Signore, a
chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».
[...]
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Editore: OCD
Autore: Annarosa Dordoni
Pagine:
Ean: 2484300021145
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Uno studio di carattere storico sull’affermarsi della
centralità di san Giuseppe nei secoli XVI-XVII,
che attinge a piene mani al campo dell’iconografia,
della religione e della cultura del tempo per cogliere,
nel loro modularsi, ruoli, compiti e virtù attribuiti a
questa speciale figura di padre.
1. Il padre ritrovato
Se la valorizzazione della figura di san Giuseppe promossa
nel XV secolo da Gerson (ma anche con modalità
diverse da Bernardino da Siena e da Bernardino
da Feltre) lasciava intravedere la tensione di una so
cietà «alla ricerca del padre»1, l’epoca tridentina e post-tridentina
può apparire il tempo del «padre ritrovato». Al di là delle
formule, magari suggestive ma pur sempre semplificatrici, sta
il fatto che nei secoli XVI e XVII il rafforzamento del principio
gerarchico e delle preoccupazioni normative, operatosi dietro
la spinta delle istanze disciplinatrici della società ecclesiastica e
civile, comportò anche un’accentuazione della figura paterna,
che si riverberò nell’enfasi attribuita al ruolo di san Giuseppe
come guida, educatore, capo autorevole e vigile della Sacra Famiglia.
Questa attenzione al ruolo paterno di san Giuseppe appare
allo stesso tempo come l’approdo di un processo che prende le
mosse da san Bernardo, cantore delle sollecitudini paterne di
san Giuseppe; si colora, attraverso la sensibilità francescana e
l’influsso delle Meditationes pseudo-bonaventuriane, di accenti
intimistici e si arricchisce quindi di una vena di realistica quotidianità
a contatto con gli ambienti di un’attiva ed emergente
borghesia cittadina. Basti ricordare alcune testimonianze iconografiche
fiorite nel Nord e centro Europa (in particolare in
Borgogna, Germania, Fiandre), spesso influenzate dalla devotio
moderna, dove san Giuseppe esprime la sua intima partecipazione
alla vita della divina famiglia prestandosi a compiere
mansioni umili e concrete, come preparare la zuppa o attizzare
il fuoco, e gesti di paterna sollecitudine.
Il percorso che porta all’affermarsi, nel Cinquecento, della
centralità di san Giuseppe si snoda all’insegna della continuità,
ma anche della discontinuità. Aspetti tradizionali, infatti, permangono
e si intrecciano ad altri inediti, suscitati dal nuovo
clima storico, religioso, culturale. In esso gioca un ruolo anche
l’evoluzione del modello di famiglia che, già avviata nel secondo
Quattrocento2, si afferma e si apre a nuove prospettive.
Anche il tema iconografico della Sacra Famiglia permette
di cogliere, nel suo modularsi, un riflesso di tale evoluzione. Il
passaggio dalla Sacra Parentela alla Sacra Famiglia, iniziato già
nel XV secolo, si va consolidando nel XVI, quando, marginalizzati
o esclusi i personaggi secondari, come sant’Anna, san Gioacchino
e santa Elisabetta, l’attenzione si concentra sul nucleo
familiare rappresentato da Gesù, Maria e Giuseppe, all’interno
del quale la figura del padre detiene un posto centrale.
Sempre più frequenti sono le scene che esaltano la tenerezza
e il vigore di Giuseppe, rappresentato mentre tiene tra le
sue braccia Gesù e lo sorregge3 o mentre – nella veste di nutritor
– gli porge un frutto o un ramo di ciliegie4. Quest’ultimo particolare
ricorre soprattutto nella rappresentazione della fuga
in Egitto o del riposo durante la fuga, tema che conosce una
crescente fortuna proprio a partire dal XVI secolo e si presta a
evidenziare il ruolo di Giuseppe come guida e protettore, così
come le scene del pasto della Sacra Famiglia o del “Benedicite”
o, ancora, della Sacra Famiglia nella bottega del falegname sottolineano
la funzione di Giuseppe come capofamiglia, colui
che presiede alla comunità domestica, stretta attorno a lui secondo
un’ordinata gerarchia di ruoli, e provvede al suo sostentamento.
[...]
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Editore: OCD
Autore:
Pagine:
Ean: 2484300021053
Prezzo: € 8.00
Descrizione:
LAMPADA AI MIEI PASSI
Sal 78,25
L’uomo mangiò il pane degli angeli
«Se vi affligge non vedere Cristo con gli occhi del corpo, pensate che ciò non è opportuno; a causa della nostra naturale debolezza, non ci sarebbe nessuno capace di sopportarne la vista. E vedendo una tale Maestà, come oserebbe una povera peccatrice quale, ad esempio, sono io, che l’ha offeso tante volte, stargli così vicino? Sotto la specie del pane eucaristico è accessibile, perché se il re si traveste, sembra che non si debba fare alcun caso di parlare con lui senza tanti riguardi e soggezioni. Altrimenti chi oserebbe avvicinarlo con la freddezza, l’indegnità, le imperfezioni di cui siamo pieni?».
S. Teresa di Gesù
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Editore: OCD
Autore: Ciro García
Pagine:
Ean: 2484300021107
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
A motivo del V Centenario della nascita di Teresa di Gesù si sono pubblicate nuove biografie, di vario valore, e altre più antiche sono state rieditate con un nuovo apparato critico. Qui si comincerà dall’esame delle più antiche: Francisco de Ribera, Julián de Ávila e Diego de Yepes, con lo scopo di evidenziare la ripresa, l’evoluzione o lo scarto di certi motivi nel corso della storia.
Gli studi biografici su santa Teresa di Gesù sono strettamente legati agli studi storici, dei quali si dà conto in altri bollettini. Una buona biografia della Santa ha bisogno di un’adeguata cornice storica, rigorosamente studiata, con i nuovi apporti della critica storica, culturale e religiosa: «Si è parlato e scritto tanto circa la
sua dottrina, e tanto poco del suo ambiente storico […] come
chiave d’interpretazione senza la quale la lettura attuale dei
suoi scritti può risultare criptica ed incomprensibile»1.
Questa valutazione del competente storiografo e professore
universitario, il carmelitano Teófanes Egido, fatta nel
1982, non si adatta pienamente alla realtà attuale, nella quale
si sono ottenuti importanti progressi storici. Ma continua ad
avere validità come paradigma o riferimento essenziale nell’elaborazione
di una nuova biografia di Teresa di Gesù.
A motivo del V Centenario della sua nascita si sono pubblicate
nuove biografie, di diverso valore, e altre più antiche sono
state rieditate con un nuovo apparato critico. Cominceremo
dalle più antiche: Francisco de Ribera, Julián de Ávila e Diego
di Yepes (Tomás de Jesús).
1. Prime biografie
1. Francisco de Ribera, della Compagnia di Gesù, è il
primo biografo della Santa2. La sua biografia, edita nel 1590,
otto anni dopo la morte di santa Teresa e due anni dopo l’editio
princeps delle sue opere di fra Luis de León (1588), ha contribuito
fortemente a propagare non solo in Spagna, ma anche in
tutta Europa la conoscenza delle ammirabili virtù, grandezza
d’animo ed eroiche imprese della Riformatrice del Carmelo3.
La biografia del padre Ribera costituisce non solo una piattaforma
di diffusione della figura di Teresa di Gesù, ma anche
un primo tentativo di sistematizzazione teologico-spirituale
della sua dottrina, avallata dalla Compagnia di Gesù i cui confessori
avevano avuto un’influenza decisiva nel discernimento
del suo spirito e nel consolidamento della sua opera di fondatrice4.
Il suo protagonismo appare ora nella prima biografia teresiana,
nella sua nuova edizione, rappresentata da tre illustri
gesuiti: Francisco de Ribera, Jaime Pons e Luis Martín.
Il padre Francisco de Ribera, 1537-1591, essendo già un teologo
consumato ed eminente scrittore, entrò a trentatré anni
nella Compagnia di Gesù a Medina del Campo, ebbe come maestro
il padre Baltasar Álvarez, confessore di Teresa di Gesù.
Quando questo è stato famoso Rettore della Scuola della Compagnia
a Salamanca, ha richiamato il padre Ribera per farsi
carico della cattedra di Sacra Scrittura, materia che ha spiegato
per sedici anni, 1575 -1590, con grande plauso di alunni
e professori. È stato sempre un grande ammiratore della Santa
d’Avila che ha conosciuto molto da vicino in varie occasioni e
che ha aiutato a discernere il suo spirito.
Il merito principale della sua biografia non è solo avere
conosciuto e trattato la Santa, ma anche lo studio dei suoi autografi,
sui quali si basa per scrivere la sua biografia. Questo
gli conferisce un carattere di autenticità che garantisce la diffusione
della sua opera. Per due anni, 1587-1588, lavora intensamente
su di essi; non ricorre più o meno a copie o codici
affidabili, bensì agli stessi autografi della Santa, tentando di
recuperare il suo genuino senso, al margine delle postille dei
censori, come è stato il caso dell’autografo del Castello interiore.
Il suo proposito non era solo scrivere una biografia teresiana,
bensì pubblicare tutte le sue opere. Ha lavorato largamente
a questo progetto, ma non ha potuto portarlo a termine per
la prossimità della sua morte (1591). Lo realizzerà, invece, fra
Luis de León (1588) che terrà conto dei materiali apportati dal
padre Francisco de Ribera.
La finalità che si propone l’autore durante il suo ampio
racconto della vita di Teresa di Gesù, è innanzitutto la fedeltà
ai dati storici e la ricerca della verità dei fatti narrati: «Cosicché
avrò sempre gli occhi fissi sulla verità della storia, che anche
tra i gentili fu giudicata una delle sue maggiori virtù […].
[...]
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Editore: OCD
Autore: Fernando Millán Romeral, Saverio Cannistrà
Pagine:
Ean: 2484300021114
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Il pellegrinaggio di Girolamo Gracián è espressione
di un cammino spirituale profondo, il quale è risposta
all’amore di Dio, al desiderio di abbracciare la
Regola del Carmelo d’accordo con gli insegnamenti
di Teresa di Gesù, e alla passione di darsi agli altri
per la loro salvezza. Questa «victoria amoris», vissuta
soprattutto nei momenti di tensione, fu per lui
un’estasi d’amore, non nel senso di un rapimento,
bensì come cammino permanente. La metafora del
«cammino» permetterà di esporre l’itinerario biografico
e spirituale di Gracián, lasciando intravedere il
pellegrinaggio di ogni discepolo, oltre che una testimonianza
più che significativa per la vita religiosa,
in tempo di crisi e di scoraggiamento.
Girolamo Gracián, un uomo in cammino...
Cari fratelli e sorelle, 1
1. In questi ultimi anni stiamo celebrando alcuni centenari
importanti per la vita della nostra famiglia carmelitana.
Ricorrenze che ci fanno sentire parte di una “storia viva che
ci accoglie e ci spinge oltre”. In realtà, la nostra tradizione appartiene
alla storia della salvezza che Dio iniziò a scrivere con
il suo popolo e continua ancora oggi nella sua Chiesa. Il credente
è fondamentalmente «uno che fa memoria», ricordava il
Papa Francesco. Non vogliamo dimenticare la nostra storia, ma
invece mantenerla sveglia, grati a «una tale moltitudine di testimoni
» (Eb 12,1) che lo Spirito Santo ha suscitato nella famiglia
del Carmelo. Tutti loro sono per noi un segno eloquente di
come vivere il Vangelo. Spiccano tra loro «alcune persone che
in maniera speciale incisero per far germogliare la nostra gioia
credente». Li stiamo ricordando in occasione dei loro anniversari:
sant’Alberto di Gerusalemme e Gracián, rispettivamente
nell’VIII e nel IV Centenario della morte, e santa Teresa di
Gesù, nel V Centenario della nascita.
2. In questa lettera circolare desideriamo condividere con
l’intera famiglia carmelitana alcune riflessioni sul padre Girolamo
Gracián. Il punto di partenza sarà la sua stessa biografia,
non sempre abbastanza conosciuta. È certo che in questi ultimi
anni, grazie alla pubblicazione di alcuni repertori bibliografici,
studi ed edizioni di parte della sua opera, Gracián ha iniziato
ad aprirsi uno spazio nella bibliografia carmelitana. È anche
noto che in questo processo ha avuto un ruolo importante il
recupero della sua opera La peregrinación de Anastasio. La maggior
parte degli esperti afferma che se il genere letterario dell’“
autobiografia” può essere considerato fonte indiscutibile di
verità storica, probabilmente però non rende giustizia alla natura
di questo scritto. In realtà, gli episodi biografici scelti da
Gracián, che li presenta a volte in forma di memoriale e cronaca
apologetica pro vita sua, si mescolano con la sua dottrina
spirituale, formando in tal modo uno scritto assai singolare e al
tempo stesso molto appassionante.
3. Girolamo Gracián fu un nomade cercatore di Dio, un
pellegrino infaticabile. In questa lettera riprenderemo la metafora
del “cammino”, che egli stesso utilizzò nella sua opera
già ricordata, La peregrinación de Anastasio [ossia Il pellegrinaggio
di Anastasio, da ora citato PA], per esporre il proprio itinerario
storico e spirituale. Girolamo Gracián professò la Regola
dell’Ordine carmelitano e, prima della sua morte, il 21 settembre
1614, trascorse metà della vita nel Carmelo teresiano
e l’altra metà nel Carmelo primitivo. La fecondità della sua
testimonianza e del suo ministero sgorgò dalla stessa fonte e
dalla medesima Regola. Non è senza significato che il suo anniversario
si inserisca tra quello del “legislatore del Carmelo” e
quello della sua grande “riformatrice”. Il fatto di aver vissuto in
ambedue i rami del Carmelo è per tutta la famiglia carmelitana
e per la Chiesa un grande segno di comunione.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Emanuela Ghini
Pagine:
Ean: 2484300021084
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Teresa riceve la prima percezione del “cammino della verità” nell’infanzia.
Dall’intuizione dell’eternità scaturisce in lei la luce che le addita il “cammino
della verità”. Gli effetti dell’incontro con la verità sono immediati e concreti:
desiderio di parlare solo di “cose verissime”, adorazione del “totalmente
Altro”, comprensione esistenziale, apertura a tutte le possibili strade della
conoscenza. Cammino di perfezione, lo chiama Teresa, di compimento, di
tensione nella pace verso la pienezza, la bellezza definitiva.
«Tutto va bene alla superficie della vita»
(F. Pessoa).
Ma «il clima di leggerezza in cui viviamo
è ormai per molti un’insostenibile pesantezza»
(E. Bianchi).
La civiltà dell’immagine tenta di alienare l’uomo e la
donna da se stessi, di disperderli in una fuga dalla coscienza
che rimuove domande e problemi, stordisce in un bombardamento
di suggestioni effimere, ma capaci di catturare e schiavizzare
chi non sa opporsi con decisione al loro fascino apparente,
allo scintillio vuoto, che disperde e tormenta.
Si può vivere in uno scollamento continuo da se stessi,
dagli altri, dal mondo. Nell’incoerenza, che arriva all’irresponsabilità.
Perdita di unità interiore e di personalità, che fa
naufragare in una genericità anonima: «Un uomo senza qualità
è fatto di qualità senza uomo» (Musil). Incapacità di rapporti
umani se non convenzionali e disimpegnati, in una fuga
dall’altro per impossibilità di reggerne il peso e di coinvolgersi
nel mistero inebriante ma esigente, severo della comunione.
La perdita di radici scardina dalla realtà in ogni suo aspetto.
Non c’è spirito pensoso che non si chieda se esista una
verità. Che non percepisca, al di là della multiforme apparenza
delle cose, una unità sottesa, o almeno un enigma. E non avverta
che c’è un oltre in tutto ciò che appare.
Il pensiero da sempre ha indagato sulle origini della vita, è
stato colto dalla vertigine dell’infinito, ha tentato risposte mai
esaurienti ed esaurite. Rivelatrici di quella tensione all’oltre,
che è la caratteristica più propria della natura umana. Gli spiriti
religiosi – ogni spirito in qualche modo lo è – vi hanno ravvisato
l’aspirazione a Dio che muove da lui, e apre alla libertà
di una ricerca che è insieme fatica di indagine e sorpresa di riconoscimento:
«La mia origine mi ha consegnato a un essere e
a una mia propria libertà. So perfettamente che non sono io la
mia origine – questa è la cosa più certa che ci sia –, ma so anche
che da qualche parte ne ho una, che devo essere grato a qualcuno
per me stesso e per la mia libertà» (H.U. von Balthasar).
Teresa riceve la prima percezione del “cammino della verità”
nell’infanzia. È un’apprensione teologale della verità, legata
all’intuizione dell’eternità, che sarebbe impressionante in
una coscienza infantile, se «il Signore del cielo e della terra»
non avesse rivelato ai piccoli il destino di tutto (cf Mt 11,25).
Dall’intuizione dell’eternità scaturisce in Teresa la luce che le
addita “il cammino della verità”. Dio le si rivela verità quando,
con il fratellino prediletto, Rodrigo, di due anni maggiore,
legge le vite dei santi:
Ci impressionava molto nelle nostre letture l’affermazione
che pena e gloria sarebbero durate per sempre. Ci accadeva
di passare molto tempo a parlare di quest’argomento e
godevamo di ripetere molte volte: sempre, sempre, sempre! Nel
pronunziare a lungo questa parola, piacque al Signore che
mi restasse impresso nell’anima, fin dall’infanzia, il cammino
della verità (V 1,4).
Divenuta adulta, Teresa muove, nella sua ricerca, da una
constatazione che non ha perso d’attualità: «Oggi nel mondo...
la verità è difficilmente ascoltata» (P 7,6).
Non solo; non è cercata. Né la verità su se stessi, non accolta
perché mette in discussione l’io – «il falso, canta Gaber,
è un’illusione che ci piace» –, né la verità meta di un’indagine
aperta da domande irrinunciabili, ma non formulate, o rimosse,
se si affacciano alla coscienza.
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Editore: OCD
Autore: Giovanni Palmitessa
Pagine:
Ean: 2484300021091
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Il beato Cardinale J.H. Newman (1801-1890), sempre
attento alle correnti della cultura del suo tempo,
dedica una grande attenzione al processo di maturazione
della fede cristiana. Nell’ottica di Newman la
fede si caratterizza come giudizio, vale a dire come
valutazione personale e indipendente applicata alle
situazioni concrete della vita. Per Newman l’argomento
migliore – un argomento che risulta intelligibile
tanto a quelli che non sanno leggere, quanto a
quelli che sono andati a scuola – è quello che nasce
dalla diligente attenzione agli insegnamenti del nostro
cuore, e dal confronto tra le esigenze della nostra
coscienza e l’annuncio del Vangelo. Riteniamo, pertanto,
che oggi il pensiero di Newman possa essere
proposto come esempio e come alimento del pensare
cristiano; e considerare, inoltre, la sua proposta di
fede un invito a prendere coscienza del nostro essere
cristiani in un mondo in cui oltre alle nozioni vi è
bisogno di testimoni.
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto:
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»
(Gv 20,29)
Introduzione
Il beato Cardinale J.H. Newman (1801-1890), sempre attento
alle correnti della cultura del suo tempo, dedica una
grande attenzione al processo di maturazione della fede cristiana.
Tale dedizione avviene in modo diverso spaziando dai
Sermoni alle Conferenze, fino alle Riflessioni Teologiche nonché
Filosofiche. Diciamo che Newman è largamente noto per aver
dedicato la sua esistenza e la sua lunga carriera – quando morì
aveva ottantanove anni – alla difesa della fede. Nella sua riflessione
si scorge una passione principale: rendere Dio credibile
nella propria cultura e dare senso alla visione cristiana in un’epoca
in cui la fede in Dio sembra in grave crisi. Egli con chiarezza
esamina gli influssi culturali positivi e negativi della sua
epoca esercitati sulla fede cristiana e sulla teologia.
Newman, da parte sua, assegna un ruolo importante al
cuore, all’immaginazione e agli affetti nella vita della fede, nutrendo
sempre diffidenza nei confronti di una sottolineatura
eccessiva del sentimento religioso di per se stesso. La fede non
dovrebbe essere ridotta a un’espressione soggettiva; il Vangelo
è tutt’altro: una rivelazione definita e graduale del mistero di
Gesù1. «Il fine della meditazione – scrive Newman – è appunto
di dar realtà ai Vangeli: di far sì che gli avvenimenti da essi narrati
si elevino nelle nostre menti al livello di fatti concreti, tali
da poter essere assimilati da una fede viva quanto l’immaginazione
che li accoglie»2. Nell’ottica di Newman la fede si caratterizza
come giudizio, vale a dire come valutazione personale
e indipendente applicata alle situazioni concrete della vita.
Ciò è chiarito dallo stesso Newman quando scrive: «La fede ha
dunque la peculiarità di formare il proprio giudizio grazie ad
un sentimento di dovere e di responsabilità, con particolare
attenzione alla condotta della persona, in conformità ai comandamenti
rivelati, confessando la propria ignoranza e senza
preoccuparsi delle conseguenze; in spirito di docile umiltà,
ma su una gamma di argomenti che neppure la filosofia può
superare»3. Per Newman, quindi, l’argomento migliore – un
argomento che risulta intelligibile tanto a quelli che non sanno
leggere, quanto a quelli che sono andati a scuola –, è quello che
nasce dalla diligente attenzione agli insegnamenti del nostro
cuore, e dal confronto tra le esigenze della nostra coscienza e
l’annuncio del Vangelo.
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Editore: OCD
Autore: Fabio Roana
Pagine:
Ean: 2484300021060
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Il ciclo di Elia è un testo narrativo e come tale è interpretabile con gli strumenti che offre l’analisi narrativa, oltre che con il supporto del metodo storico-critico. Si può così scoprire che esso ha avuto una lunga elaborazione, è stato recepito, pensato, trasmesso e, aggiungiamo, attualizzato e rivissuto. La storia di Elia, di Acab e degli altri soprattutto ci aiuta, oggi come allora, a riconoscere Chi è Dio e chi sono i Suoi che abitano il monte dell’incontro con Lui e le strade del mondo, qualunque forma questo monte e queste strade assumano.
SECONDA PARTE
1. Oggetto dell’analisi narrativa
L’analisi del testo svolta finora ci porta a interrogarci
sulla legittimità di considerare come unità con una
propria sussistenza la sezione segnata dalla presenza
di Elia: da una parte essa è solo un segmento di una
storia ben più ampia e s’intreccia con altre possibili unità in
parte sovrapposte, come quelle che racchiudono le vicende del
re Acab e del profeta Eliseo; dall’altra la sua stessa unitarietà
è messa in dubbio dalla sua natura composita. Accostandosi ai
Libri dei Re e al loro contesto scritturistico si ha l’impressione
di percorrere una strada lungo la quale si aprono orizzonti,
si mostrano panorami e a volte si fissano particolari, con elementi
che ritornano; il tratto che va da 1Re 16,29 a 2Re 2,18
non è tutto il percorso ma un passaggio che sta al suo cuore
e che risulta fondamentale per la comprensione dell’intero1:
analizzarlo significa volgere una luce su qualcosa di più ampio,
quindi ha una sua legittimità coglierlo come un oggetto a sé,
senza per questo troppo isolarlo.
Due ulteriori osservazioni. Prima: se riconosciamo l’esistenza
del cosiddetto ciclo di Elia, ancorché intrecciato con un
ciclo di Acab e imbricato con un ciclo di Eliseo2, è possibile,
assumendo quale oggetto d’analisi in particolare la sezione
eliana, considerare gli elementi non esclusivamente appartenenti
a questa comunque come suoi, con un proprio significato;
d’altra parte, pur avendo la sezione in esame i confini
sfumati, se colta in stretta funzione dell’esperienza diretta di
Elia, acquista una precisa delimitazione. Seconda osservazione:
il racconto, prescindendo dai problemi testuali e redazionali
visti, non è frutto del caso ma ci è dato nella forma realizzata da
un’ultima mano redazionale, che possiamo considerare come
l’autore o il narratore finale; dunque oggetto della nostra attenzione
da un punto di vista narrativo può essere semplicemente
il testo così com’è.
2. Delimitazione del racconto: un ciclo tra cicli
La sezione che va da 1Re 16,29 a 2Re 2,18 è connotata
dalla presenza del re Acab (e della moglie Gezabele), del successore
Acazia e del profeta Elia, le cui vicende sono sviluppate
in racconti che si susseguono e in brani cornice; questi
racconti a loro volta sono articolati in scene, raccolte a volte
in più di un episodio: la trama è complessa e conviene iniziare
distinguendo le unità più ampie.
– 1Re 16,29-22,40: grande inclusione tra i brani cornice che
delimitano la vita di Acab, dall’intronizzazione alla morte;
– 1Re 16,29-19,18: «lungo racconto della lotta del Signore e
del suo profeta Elia»3 contro Baal e il re Acab con sua moglie
Gezabele, con diverse rivelazioni del Signore legate a
Elia;
– 1Re 19,19-21: racconto della chiamata di Eliseo da parte di
Elia;
– 1Re 20,1-22,40: racconto di una serie di disobbedienze e ingiustizie
commesse da Acab e della sua condanna insieme
a tutta la sua casa, fino alla sua morte (primo sviluppo della
parola del Signore di 1Re 19,16a):
- 1Re 20: racconto delle prime due guerre aramee, della
disobbedienza al Signore e della condanna di Acab
per mezzo di un profeta;
- 1Re 21: racconto della vigna di Nabot con un’ingiustizia
commessa da Acab e da sua moglie Gezabele,
condannati insieme a tutta la loro casa per mezzo di
Elia;
- 1Re 22,1-40: racconto della terza guerra aramea, della
disobbedienza di Acab al Signore, interpellato per
mezzo del profeta Michea, e della morte del re;
– 1Re 22,41-51: breve racconto della successione del re
Giòsafat al trono di Giuda e delle sue vicende.
– 1Re 22,52 – 2Re 1,18: racconto della successione del re
Acazia al trono d’Israele, della sua infedeltà al Signore per
Baal, dell’intervento del Signore con Elia e della morte di
Acazia.
– 2Re 2,1-18: racconto dell’ascensione-assunzione di Elia e
della successione di Eliseo (sviluppo di 1Re 19,16b.19-21).
Come si nota, a questo livello la divisione in capitoli corrisponde
soltanto in 1Re 21 all’organizzazione narrativa (un
capitolo che tra l’altro ha una collocazione diversa nella LXX:
effettivamente, visto l’attuale intreccio degli episodi – con
disobbedienze, condanne, profezie e realizzazioni – sembra
essere l’unica possibile variazione di una certa entità); per il
resto i confini sono sì abbastanza chiari ma non molto netti, in
quanto la sezione, cadenzata da cambiamenti di tempo, luogo,
personaggi e tema4, è comunque un susseguirsi continuo di
episodi, con alcuni brani cornice.
[...]
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Editore: OCD
Autore: Roberto Fornara
Pagine:
Ean: 2484300021077
Prezzo: € 3.50
Descrizione:
Rileggendo in sintesi l’itinerario di fede che Gen 12,1 propone, individuiamo soprattutto una triplice indicazione. La parola di Dio invita Abramo a mettersi in cammino verso una direzione e una destinazione che non è dato a lui conoscere, a partire da una condizione e una situazione che costituiscono la sua realtà in quel momento, lasciando progressivamente tutto ciò che è suo, che gli appartiene, che lo ha generato fino a quel momento, perché – attraverso il cammino e l’esperienza – venga generato l’uomo nuovo, nella fiducia e nella speranza. Abramo apparirà così, quasi anticipando Gen 14,3, veramente il primo ebreo, cioè l’uomo del “passaggio”, proprio perché avrà accettato, fidandosi della parola, di compiere tale passaggio.
Nella vita cristiana,
si va di inizio in inizio
attraverso inizi
che non hanno mai fine.
(Gregorio di Nissa)
L’uomo di fede vive spesso l’esperienza di una contraddizione
profonda, di una separazione radicale fra ragione e
fede, fra esigenze logiche e connaturali della propria umanità
da una parte, e volontà di Dio, pensieri di Dio, logiche di Dio,
dall’altra. Certo, il credente sottopone al vaglio del discernimento
il proprio cammino; questa persona, che deve essere
pensata come un’unità, tende all’unificazione sempre più
completa. Ciò nondimeno, avverte in molti momenti e in molti
modi una certa separazione interiore, o quanto meno le tentazioni
opposte di razionalizzare il proprio cammino di fede
per renderlo più accettabile, più comprensibile, più “a misura
d’uomo”, oppure di spiritualizzare la dimensione razionale
della propria esistenza credente.
L’opposizione tra fede e ragione porta spesso il credente
a decidersi all’azione soltanto nella misura in cui la scelta da
compiere appare umanamente condivisibile, con una logica
razionale e se non comporta rischi o conseguenze difficilmente
valutabili: “cammino se è ragionevole…”. La lettera enciclica
Lumen fidei di Papa Francesco, invece, ai paragrafi 9-10,
partendo dall’esperienza biblica del patriarca Abramo, invita a
capire che la logica della fede deve imparare a ribaltare questa
prospettiva troppo razionale:
Ciò che questa Parola dice ad Abramo consiste in una chiamata
e in una promessa. È prima di tutto chiamata ad uscire
dalla propria terra, invito ad aprirsi a una vita nuova, inizio di
un esodo che lo incammina verso un futuro inatteso. La visione
che la fede darà ad Abramo sarà sempre congiunta a questo
passo in avanti da compiere: la fede «vede» nella misura
in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola
di Dio. Questa Parola contiene inoltre una promessa: la tua
discendenza sarà numerosa, sarai padre di un grande popolo
(cf Gen 13,16; 15,5; 22,17). È vero che, in quanto risposta a
una Parola che precede, la fede di Abramo sarà sempre un
atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato
ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di
aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via. Si vede così
come la fede, in quanto memoria del futuro, memoria futuri,
sia strettamente legata alla speranza.
Quello che viene chiesto ad Abramo è di affidarsi a questa
Parola. La fede capisce che la parola, una realtà apparentemente
effimera e passeggera, quando è pronunciata dal Dio
fedele diventa quanto di più sicuro e di più incrollabile possa
esistere, ciò che rende possibile la continuità del nostro cammino
nel tempo. La fede accoglie questa Parola come roccia
sicura sulla quale si può costruire con solide fondamenta. Per
questo nella Bibbia la fede è indicata con la parola ebraica
’emûnah, derivata dal verbo ’amàn, che nella sua radice significa
«sostenere». Il termine ’emûnah può significare sia la fedeltà
di Dio, sia la fede dell’uomo. L’uomo fedele riceve la
sua forza dall’affidarsi nelle mani del Dio fedele. Giocando
sui due significati della parola – presenti anche nei termini
corrispondenti in greco (pistós) e latino (fidelis) –, san Cirillo
di Gerusalemme esalterà la dignità del cristiano, che riceve il
nome stesso di Dio: ambedue sono chiamati «fedeli». Sant’Agostino
lo spiegherà così: «L’uomo fedele è colui che crede a
Dio che promette; il Dio fedele è colui che concede ciò che
ha promesso all’uomo».
Un aspetto della fede viene messo particolarmente in risalto
nel testo citato: la fede non tanto quale atto irrazionale, quanto
piuttosto quale atto meta-razionale. L’atto di fede è prima di
tutto affidamento, consegna, abbandono. E questo abbandonarsi
fiducioso a colui che si sperimenta e si conosce come «il
fedele» diviene memoria futuri, capace – come dice il Salmo 119
– di illuminare i passi lungo il cammino. Si comprende allora
l’importanza di quella che ritengo l’affermazione centrale nel
paragrafo 9: la fede «vede» nella misura in cui cammina. Ciò significa
che non solo l’atto di fede non è contrario alla ragione, ma
anche che solo l’atto di fede capace di abbandonarsi del tutto è
un atto pienamente razionale. Solo l’esperienza del cammino
(e non il semplice ragionamento) può dare la luce sufficiente
e necessaria per camminare ulteriormente.
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